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La rotta segreta degli scafisti italiani: "Con loro non rischi di affondare in mare"

La rotta segreta degli scafisti italiani: "Con loro non rischi di affondare in mare"

ROMA. Gli scafisti italiani sono una garanzia. “Con loro non rischi di affondare in mezzo al mare “. Gli scafisti italiani puntano sulla qualità. “Il gommone è nuovo, dentro è fatto di legno e ha un motore potente”. Gli scafisti italiani viaggiano con un coltello lungo un braccio, e si sono messi in affari con criminali tunisini a cui non frega niente di chi portano in Sicilia. “Se fossi un jihadista “, osserva Sari, involontariamente lanciando un monito a chi si occupa di Antiterrorismo, “userei questa rotta per penetrare in Europa”.
IL CONTATTO COI TRAFFICANTI
Sari, per fortuna, un jihadista non è. È un quarantenne tunisino, intelligente e dai modi cortesi, che dopo la Primavera Araba si è convinto che l’unica soluzione sia lavorare in Italia, dove ha già vissuto negli anni Novanta. Parla bene la nostra lingua, ha fatto il pellegrinaggio alla Mecca e non disdegna l’alcool: con calma ordina un paio di birre, al bancone di un bar di una cittadina del Basso Lazio, prima di attaccare il suo racconto. “All’inizio dell’anno una mia conoscenza di Tunisi mi dice che ci sono italiani che stanno facendo le traversate fino in Sicilia con i motoscafi “. È la rotta tunisina, la storica via dei contrabbandieri di sigarette e dei latitanti in fuga. E, da qualche tempo, anche la rotta di migranti irregolari come Sari. “Trovo il contatto giusto, un mio connazionale che mi spiega come funziona: il viaggio costa 7.000 dinari (circa 2.400 euro, ndr) e i soldi li vogliono in anticipo. Se accetto, entro una settimana riceverò una telefonata e da quel momento avrò un’ora di tempo per presentarmi in un luogo prestabilito dove incontrerò l’italiano. Di lui non mi viene spiegato niente, solo che è un siciliano di poche parole “.
L’ITALIANO TACITURNO
Il cellulare di Sari squilla alle 18 di una serata tiepida della scorsa Primavera. “Mi precipito all’appuntamento, portando uno zainetto con dentro il salvagente giocattolo di mia figlia. Appena mi vede l’italiano, un uomo grosso che avrà avuto 35-40 anni, si incazza per lo zaino… ma che ci posso fare, non so nuotare! “. Si ritrova in un gruppo di otto passeggeri, tutti tunisini: la comitiva vale quasi 20.000 euro. Un furgone senza finestrini li scarica su una spiaggia deserta, a un’ora di macchina da Tunisi. “Credo fosse la zona di Plage Ejjehmi, perché vedevo una collinetta con delle antenne. Il gommone era già lì, smontato, nascosto nelle sterpaglie”. Sari e gli altri, al buio, seguono gli ordini dello scafista italiano che ora è accompagnato da un tunisino che funge da traduttore: prima trasporteranno le taniche di benzina per una cinquantina di metri fin sulla battigia, poi il gommone, infine il motore. Insieme a loro, viaggeranno dodici scatoloni di sigarette di contrabbando che i due scafisti sistemano a prua.
IL VIAGGIO FINO A MARSALA
“Ci impongono di spegnere i cellulari e poco prima di mezzanotte partiamo. Il mare è piatto, neanche una motovedetta della guardia costiera mentre lasciamo la Tunisia”. È l’italiano a pilotare il gommone. Davanti a sé ha messo una borsa frigo di plastica blu, il cui contenuto non è sfuggito a Sari: “Bottiglie d’acqua e un grosso coltello, forse un machete”. Il gommone accelera e rallenta di continuo. “L’italiano si orienta seguendo tre stelle “, intuisce Sari.
La notte sul Mediterraneo sembra non passare mai, gli otto passeggeri muti e intabarrati nei giacconi, i borbottii in dialetto siciliano dello scafista, il rumore del motore, il vento. “All’alba scopriamo che c’è una nave militare in lontananza, e per fortuna non ci avvista. L’italiano appoggia sulla borsa frigo una tavoletta di legno, con una bussola: l’ago punta tra i 58 e i 59 gradi. Il motore spinge al massimo, arriviamo nelle acque italiane che sono le 17, ma non attracchiamo: rimaniamo a largo, a motore spento, fino a dopo il tramonto. Con l’oscurità appaiono le luci delle automobili, sbarchiamo su una spiaggia dove ci sono delle persone. In un attimo i due scafisti riprendono il mare, io mi incammino solo tra gli alberi. Dopo qualche ora ho capito dov’ero: a nord di una città chiamata Marsala. In Italia. In Europa”.
LA ROTTA DEI JIHADISTI?
Chi fossero i due scafisti, e chi tra loro comandasse, Sari non l’ha capito. “Ma a Tunisi di bande di trafficanti formati da italiani e tunisini ce ne sono molte”, giura. Chi sono? Hanno legami con la Mafia? Trasportano terroristi? Una prima risposta l’ha data a giugno l’operazione della finanza “Scorpion Fish”, e non sono buone notizie. L’inchiesta del pool di pm palermitani Gery Ferrara, Claudia Ferrari e Francesca La Chioma ha portato all’arresto di 15 persone, tra cui diversi italiani, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e contrabbando di tabacchi. “Nella banda, che ha organizzato almeno cinque viaggi dalla Tunisia, gli italiani erano in posizione subordinata: pescatori, piccoli criminali non legati a Cosa Nostra”, sostengono gli inquirenti. I gommoni usati, al massimo della velocità, potevano coprire la tratta anche in meno di quattro ore.
I vertici del gruppo, invece, avevano legami con sospetti jihadisti. Forse a qualcuno hanno anche fornito un passaggio. La rotta scoperta era esattamente la stessa percorsa da Sari. Ce ne sono almeno altre due utilizzate, che partono dalle spiagge tunisine e arrivano a Mazara Del Vallo o più a est, nell’Agrigentino. Percorribili in poche ore. Sari mostra

sul telefonino filmati di suoi amici tunisini arrivati in tutta sicurezza, a bordo di questi gommoni moderni che non sono le carrette che partono dalla Libia, sono mezzi sicuri. Sembrano turisti, bivaccano e sorridono. “Se fossi un terrorista – ribadisce Sari – utilizzerei questa rotta”.

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