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“La borghesia italiana si è immignottita. Il Governo M5S-Lega? Va oltre un film dei Vanzina”

I cambiamenti della società, l’Italia divisa, la Capitale rassegnata e in disfacimento, la politica: “È cambiato il popolo, come è cambiata l’Italia”

l governo tra Movimento 5 stelle e Lega era al di là della sua immaginazione: “Va oltre un film dei Vanzina. Non ci siamo mai spinti fino ad azzardare tanto”. Nei lavori cinematografici dei due fratelli che hanno raccontato, sotto la forma della commedia, la trasformazione della società italiana c’è, però, tutto il resto: “La borghesia italiana ha rinunciato al suo ruolo di classe dirigente. Ha scelto, anziché di radicarsi nella cultura, di dedicarsi alle scopate, alle feste, a urlare sugli spalti degli stadi di calcio. Insomma, si è immignottita, soprattutto a Roma. Così, oggi, siamo l’unico grande paese europeo che può darsi un governo che prescinde totalmente dalla propria borghesia”.

Dopo aver raccontato i nuovi ricchi, gli yuppies, le finte bionde, gli imbecilli sgraziati degli anni ottanta, scritto film che, come Vacanze di Natale, hanno ritratto ferocemente la neo-Italia e i neo-italiani, facendoli ridere di loro stessi, Enrico Vanzina si è avventurato nel mistero di Roma, una delle poche capitali del mondo che rappresenta, per la sua nazione, un anti modello: “È una città rassegnata al presente, che non fa progetti e non ricorda”, la definisce. Il suo romanzo, Una sera a Roma (Mondadori), è un giallo che racconta, oltre che il disfacimento della capitale d’Italia, l’amore travolgente per il cinema, lo svanire della tradizionale eterosessualità e l’affermarsi di gusti sempre più liquidi, sempre più multipli: “Claudio Strinati, durante una presentazione, ha detto che questo libro è l’unico libro che avrebbe potuto scrivere il protagonista de La Grande Bellezza, Jep Gambardella. Non ci avevo pensato. Potrebbe aver ragione”.

Ambientato in una Roma da fine d’epoca, nello sgretolarsi di certezze antiche, il romanzo di Vanzina offre uno sguardo sullo smarrimento italiano, sia nella vita privata, sia in quella pubblica: “Sono saltate categorie che hanno accompagnato la nostra vita per decenni. E sono saltate nel giro di pochissimi anni”. Nel suo ufficio, dopo aver scorto nel corridoio un quadro umbratile di Federico Fellini, ci fa sedere di fronte a un dipinto in cui appare la faccia sbruffona di Alberto Sordi: “Silvio Berlusconi ha cercato di dare alla borghesia italiana una coscienza. Non ci è riuscito. Poi, una parte di quei voti borghesi, è andata al Partito Democratico. Infatti qui ai Parioli, tradizionale quartiere borghese, siamo in uno dei pochi posti in cui il Pd ha vinto a Roma”

Con quali conseguenze?

Che, votando a sinistra, la borghesia immignottita ha immignottito anche la sinistra. La quale si è trovata ad essere contaminata da una borghesia incolta, se non addirittura somara. E ha perso il contatto con la sua tradizionale vocazione popolare.

Vale per tutta la borghesia, questo discorso?

La borghesia torinese, oppure milanese, è diversa da quella romana: è più solida. Però, la borghesia descritta nei romanzi di Alberto Moravia degli anni 50 e 60 è completamente scomparsa.

Negli altri paesi c’è ancora?

In Francia, in Germania, in Gran Bretagna, la borghesia esiste ed è fiera di appartenere a questa classe sociale.

Di cosa è orgogliosa?

Di ciò che l’ha resa forte, l’investimento nello studio, nel sapere, nella fatica di aver conquistato la propria professionalità, la propria fortuna, grazie all’intraprendenza.

Perché In Italia non è così?

Nella capitale d’Italia la borghesia non si è mai formata. Il sogno dei borghesi romani è avere una figlia che diventa principessa.

E nelle altre città?

La grande borghesia industriale del nord Italia è quasi finita con la svendita dell’industria italiana. Rimane la piccola borghesia operosa del nord est, che vota per la Lega nord, ed è tutta un’altra cosa.

Il popolo, invece, è vivo?

Il popolo che hanno raccontato i film neorealisti non c’è più. È cambiato, come è cambiata l’Italia. Ma il popolo è ancora la coscienza di questo paese. Una coscienza divisa in classi, ceti, regioni, tradizioni, dialetti, culti, gusti sessuali, la cui somma rappresenta lo sguardo della nostra nazione su se stessa.

Anche lei si richiama al popolo?

Io ho avuto la fortuna di fare un lavoro da privilegiato, di viaggiare e conoscere il mondo, ma io amo l’Italia, mi commuovo quando sento l’inno nazionale, quando sto di fronte a un quadro del rinascimento, quando mangio nelle trattorie, quando sento parlare l’italiano con gli accenti, mi sento di appartenere totalmente al popolo.

Non aveva sofferto di essere associato agli italiani che raccontava nei film?

Insieme a mio fratello, abbiamo raccontato l’Italia che va in Vacanza a Cortina, i milanesi di Via Montenapoleone, il mondo della moda di Sotto il vestito niente, prendendo tutti per il culo. Era una critica spietata dell’Italia degli anni ottanta. Eppure, alcuni critici di sinistra, hanno creduto che noi fossimo i cantori di quella società. M’infastidì molto, allora. Ma oggi non è più così.

Si riconosce nella definizione di “popolare”?

Tutto quello che faccio, lo faccio per il popolo. E il cinema, in fondo, è null’altro che una grande regalo di felicità offerto alle classi popolari.

Il cinema racconta ciò che esiste o lo inventa?

La grande commedia italiana – quella di Pietro Germi, di Dino Risi, di Mario Monicelli, alcuni film di mio padre, grazie anche a sceneggiatori come Scarpelli, Sonego, Amidei – ha creato personaggi che non esistevano nella realtà, i quali però, dopo essere stati rappresentati sullo schermo, sono diventati più veri delle persone reali.

Vale anche per il cinema neorealista?

Roma città aperta, senza l’invenzione di un personaggio come Don Pietro Pellegrini, interpretato da Aldo Fabrizi, non sarebbe stato il capolavoro che è. La forza della finzione sta nel fatto che può rendere la realtà ancora più reale.

Può anche crearla?

Alberto Sordi ha osservato minuziosamente gli italiani per poterli interpretare. Poi, la sua maschera è diventata talmente forte che sono stati gli italiani a guardare lui per imitarlo.

Qual è la maschera degli italiani di oggi?

Quella di Checco Zalone, un attore che è stato capace di re-incarnare una figura classica della commedia all’italiana, quella del Re degli ignoranti.

Chi fu il primo a interpretarla?

Fu Totò, con la sua frase: “Ma mi faccia il piacere”. Esempio della diffidenza degli italiani per qualsiasi istituzione, forma, titolo, riconoscimento: tutti considerati, immancabilmente, una finzione. “Lei è onorevole? Ma mi faccia…”

Che altri interpreti ha avuto?

Adriano Celentano negli anni ottanta, e, in parte, in un pubblico più politicizzato, più limitato, Nanni Moretti, il quale prendeva le mitologie della sinistra extra -parlamentare italiana e le distruggeva, riportandole alla realtà.

Zalone cosa coglie, invece?

Zalone attraversa i gusti sessuali, il rapporto con il lavoro e con la famiglia che hanno le persone di questo paese e ridicolizza tutto il politicamente corretto in cui sono avvolti. Per cui, c’è un ragazzo che fa uno stage e viene insignito da un solenne qualifica in lingua inglese? Lui arriva e gli dice la verità: “Ti stanno prendendo per il culo”.

I Re degli ignoranti, come definiscono alcuni Di Maio e Salvini, sono arrivati al potere?

Si può essere ignoranti, ma anche grandi leader politici. La politica non è questione di cultura. È avere un sogno, e la capacità di capire gli umori del paese, trovando il modo di realizzare qualcosa di nuovo. Anche facendo compromessi.

Salvini e Di Maio non li stanno facendo?

Sì, li stanno facendo. Ma una vecchia regola, saltate tutte le altre, rimane e prescrive di non bluffare. In politica, il bluff non solo viene scoperto immediatamente, ma crea gravi danni. E temo che su molti punti del loro “contratto” grillini e leghisti stiano bluffando.

Si poteva fare qualcos’altro?

Credo che l’Italia debba sperimentare questa nuova fase della sua politica. Nel bene e nel male. Sarebbe un insulto alla democrazia non far governare le forze che hanno vinto le elezioni.

Ce la faranno?

Renzi e Berlusconi guardano dalla finestra sperando nella catastrofe. Io, invece, che pure sono politicamente dalle loro parti, non mi auguro il disastro. Tifo per il bene del paese. Se governeranno bene, evviva. Se governano male, ci saremo tolti di mezzo l’ equivoco populista e potremo ricominciare daccapo riannodando il tema – secondo me insuperabile – della democrazia: alternanza tra una visione progressista e una conservatrice.

È fiducioso?

Credo che adda passà a’ nuttata.

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