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"Insulti nel metrò di Torino alla donna col velo, così ho visto il razzismo da vicino"

Il racconto in prima persona di un episodio avvenuto ieri mattina: “Quell’uomo gridava: chissene frega se sei italiana, dovete morire tutti, ti faccio sbranare dal mio cane. E nessuno è intervenuto”

Martedì, mattina. Sono le 11. Salgo in metropolitana a Torino Porta Nuova, direzione Fermi. Il vagone è mediamente affollato. Ragazzi, ragazze, c’è anche qualcuno in giacca e cravatta, signore con i pacchi della spesa. Ci sono alcuni posti vuoti. Mi siedo e vicino a me c’è una donna con il foulard colorato che le copre la testa e le avvolge le spalle. Ha una gonna semi lunga e scarpe da ginnastica. Il viso è rotondo, quasi paffuto, occhi scuri. Avrà una cinquantina d’anni.
Dopo un paio di fermate sale un uomo, capelli bianchi, piuttosto in carne, apparentemente intorno alla settantina. Ha un cane al guinzaglio: il Lassie che tutti conosciamo. Si avvicina a noi. La signora con il foulard che mi sta accanto, è a disagio per il cane, si alza e si allontana, quasi scusandosi: sono allergica. A quel punto, l’uomo con il cane, senza nessuna ragione, inizia ad apostrofarla, a voce alta: “Cosa vuoi tu? Ti fa schifo il cane? Stai zitta, ora lo sguinzaglio e ti faccio sbranare. Ha ragione Salvini. Io sono un leghista convinto. Che cazzo ci fate qui in Italia?”.
La signora, scioccata e spaventata ,si allontana e si rivolge pacatamente all’uomo con il cane: “Guardi che io sono italiana”, e mostra la sua carta d’identità”. Ma lui continua, anzi, si guarda intorno come per cercare consenso tra gli altri passeggeri e inizia ad urlare: “E chissene frega. Io ci vado a Porta Palazzo e vedo tutta quella gente come te che gira senza far niente. Chi lavora? Nessuno. Vi manteniamo noi. Dovete andarvene tutti fuori. Dovete morire. Viva Salvini. Sempre”.
A questo punto mi alzo anch’io, giacché nessuno, ma proprio nessuno, si è preso la briga di intervenire, chi faceva finta di niente, la maggior parte con la faccia dentro il proprio smartphone. Alcuni si sono girati da un’altra parte: nessun consenso all’uomo del cane, ma nemmeno una minima solidarietà alla donna aggredita. Mi avvicino a lei che mi mostra la sua carta di identità: “Guardi, guardi qui, sono italiana e lavoro io, faccio la sarta. C’è scritto che vengo dal Marocco. Sì, sono marocchina. ma c’è anche scritto che sono italiana”. È agitata. Mi giro verso il signore con il cane: “Perché? Si vergogni”. Ma lui insiste: “Stai zitta tu, collaborazionista”.
Sono arrivata, scendo e la signora marocchina mi segue. Si mette a piangere e mi guarda dritta negli occhi: “Per me e per la mia famiglia è diventato un inferno. Quasi ogni giorno veniamo insultati. Ma perché?”.
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