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Industrie in crisi, l’Abruzzo che lotta fuori ai cancelli per salvare 600 posti di lavoro

ABRUZZO. All’Hatria di Sant’Atto, storica azienda di sanitari si rischiano 55 licenziamenti su un organico di 185. Alla Dayco, società che produce cinghie di distribuzione per auto, l’annuncio di 135 esuberi su 650 lavoratori degli stabilimenti di Chieti e di Manoppello. E poi c’è la Honeywell che è sempre stata una delle eccellenze del panorama automotive della Val di Sangro: si parla di 400 esuberi e il rischio di delocalizzazione dello stabilimento in Slovacchia anche se l’azienda ha smentito. Sono solo le ultime imponenti vertenze di una lunga serie che da anni ormai arrivano ciclicamente e coinvolgono molti settori produttivi. Alla base delle decisioni dei grandi gruppi ci sono molti fattori eterogenei che vanno dalla “crisi del mercato”, al costo del lavoro, alla tassazione elevata, alla poca appetibilità dell’Italia come paese di investimento e l’obiettivo comunque è sempre quello di delocalizzare nei paesi in cui i costi si riducono. Il problema è globale e implicherebbe una perizia e lungimiranza delle istituzioni a tutti i livelli che manca se si escludono le classiche pezze a caro prezzo come la cassa integrazione e la mobilità che non guariscono le ferite e non risolvono il problema alla fonte Si prevede, allora, un autunno caldissimo e l’Abruzzo -che da 30 anni a questa parte non ha visto rallentare il processo di fuga e desertificazione dei grandi stabilimenti produttivi- si impoverisce sempre di più. Lavoratori mobilitati da mesi tra scioperi, picchetti davanti ai cancelli, riunioni sindacali con l’unico obiettivo di salvare il posto. Ma tra tavoli ministeriali che non hanno portato a niente e confronti estenuanti con le proprietà, ad oggi ci si ritrova davanti a quelle che sembrano tre situazioni disperate

HATRIA

Alla Hatria di Sant’Atto, provincia di Teramo, è un dato di fatto che negli ultimi anni si è registrato un calo di fatturato importante, da 33 milioni del 2007 ai 14 del 2016. La fabbrica di sanitari nel gennaio 2014 è stata venduta dal gruppo Marazzi alla Cobe Capital, un fondo di investimento americano. Un anno prima il gruppo Marazzi era stato acquisito dalle Mohawk industries. Un’operazione con cui è nato un gruppo leader al mondo nel settore delle piastrelle di ceramica. Nell’operazione – dal valore di 1,17 miliardi di euro – è stata inclusa anche l’Hatria, l’unica azienda del gruppo che produce sanitari. Nel futuro dello stabilimento teramano si intravedono tagli. I sindacati hanno tentato in tutti i modi di scongiurare i 55 licenziamenti su un organico di 185, spingendosi a formulare una proposta di estremo sacrificio sul salario dei lavoratori che prevederebbe un regime di riduzione di orario (part-time) differenziato per reparto ed esteso a tutte le maestranze con conseguente perdita di salario, un piano di gestione dell’organizzazione del lavoro per concordare tutti gli aggiustamenti finalizzati all’ottimizzazione ed efficienza degli impianti. E poi ancora l’accompagnamento al pensionamento senza incentivo o l’ esodo incentivato per i Lavoratori volontari. Di fronte a tali proposte, oltre alla perdita gia’ conclamata del contratto integrativo aziendale, però, l’azienda si è chiusa a qualunque soluzione di mediazione che non preveda tagli occupazionali, come unico presupposto per il recupero dell’efficienza.

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