EXITO STYLE

in-colorado,-un-rifugio-high-tech-firmato-frank-gehry

In Colorado, un rifugio high tech firmato Frank Gehry

Sydney Pollack, nel film che gli ha dedicato nel 2005, ha definito Frank O. Gehry “creatore di sogni”. È certo un creatore di sogni anche Michael Eisner, che dal 1984 al 2005 è stato presidente e Ceo della Walt Disney. Era quasi scontato che i due prima o poi si incontrassero. La loro è stata una lunga collaborazione: la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, edificio ad alto tenore tecnologico e acustico concepito negli anni ’80 (ma inaugurato solo nel 2003); il centro Disney Village (1992) all’interno di Disneyland Paris, a Marne-la-Vallée; Disney Ice ad Anaheim, del 1995, centro per le attività sportive sul ghiaccio.

I due si sono ritrovati di recente anche su un’avventura di scala molto più piccola e privata: una casa nella foresta riletta in chiave contemporanea, spazio per accogliere amici immerso nella natura. Il progetto ha iniziato a prendere forma poco prima dell’estate del 2017, quando una nave dai Paesi Bassi è arrivata al porto di Houston con dodici container che sono stati condotti, poi, attraverso le Montagne Rocciose fino a una radura nel Colorado. E sono diventati una hall trasparente, dove le ampie pareti vetrate rivelano pilastri di legno lamellare sagomato, pareti divisorie dalle tonalità calde e avvolgenti (sempre in legno), pavimenti in pietra. Tutto al riparo di una copertura metallica che rende questo intervento un segno sul paesaggio, un’opera sospesa tra land art, sogno e architettura.

La sala da pranzo. A soffitto, una scultura luminosa in “fibra vulcanizzata”. Foto di Christopher Sturman.

A questo proposito il critico di architettura Paul Goldberger ha scritto: «Gehry è spesso accusato, ingiustamente, di realizzare edifici che somigliano troppo a sculture. In Colorado, per Michael e Jane Eisner, ha progettato una forma pura, praticamente senza altra funzione se non quella di essere un luogo di ritrovo: si potrebbe perciò pensare che si tratti della costruzione più “scultorea” da concepire. Ma nel momento in cui la si osserva, si capisce che è un edificio vero, che parla di architettura in ogni suo centimetro, che ti mette desiderio di entrarci. Questo progetto afferma il genio di Gehry. E ci fa presente che non è uno scultore, ma un architetto che riesce a far danzare la forma in modo magico».

Questa casa ricorda le folies dei parchi settecenteschi, colte ma libere da stile o linguaggi, visionarie e immerse nella natura. Appare nel paesaggio come la sagoma morbida, sospesa e riflettente, di una capanna uscita da una favola fantascientifica o di un’astronave appena calata dall’universo tecnologico, lo stesso amato da Gehry. Un sogno ad alto tenore strutturale fatto dalla pre-fabbricazione di 900 pezzi unici di acciaio inossidabile sagomato, assemblati in modo da comporre il suggestivo tetto ondulato che è stato successivamente diviso in dodici sezioni per il trasporto. Questa copertura d’effetto è stata montata a terra – come venne fatto per la Neue Nationalgalerie a Berlino, di Ludwig Mies van der Rohe – per poi essere issata su dieci pilastri in legno dalla nervatura plastica. Elementi che, insieme alle pareti perimetrali in legno o vetro, definiscono uno spazio di circa 150 metri quadrati.

I costi di realizzazione sono stati elevati, triplicati rispetto al preventivo iniziale anche per permettere un controllo più preciso degli aspetti ambientali e di quelli legati al risparmio energetico. Ma anche per prevenire problemi di impermeabilizzazione della copertura dovuti alla neve, che entrando nelle pieghe del tetto lo avrebbe seriamente danneggiato. Un volume poetico e intimo che riporta al linguaggio di Gehry, cresciuto in Canada, grande conoscitore e appassionato del legno e al tempo stesso in grado di giocare con il metallo con grande maestria.

Peraltro, questa non è la prima volta che l’architetto utilizza una copertura a onde morbide su un “box” trasparente: lo ha fatto nel Richard B. Fisher Center for the Performing Arts di Annandale-on-Hudson (New York), del 2003, un progetto di grandi dimensioni con proporzioni certamente differenti ma il cui spunto creativo mostra forti assonanze con questo padiglione montano, dove la copertura è un sistema sperimentale di geometrie complesse, operazione possibile per le sue dimensioni contenute.

La piccola scala, del resto, può comportare grandi complessità. Lo stesso Gehry, in un’intervista del 2019, confessava che gli edifici fatti di un solo spazio, come le chiese o le sale concerto sono la cosa più difficile da realizzare: «Sono piacevoli perché costituiscono una sorta di palcoscenico. Ma ti rendono umile. E ti mettono in ginocchio, perché quando hai un solo ambiente non c’è nessun posto dove ti puoi nascondere». Frase spiazzante se pensata in bocca a una grande firma dell’architettura, Pritzker Prize nel 1989. Con una dose di ironico realismo. Gli fanno da contrappunto l’entusiasmo e la gioia di Eisner: «Erano anni che parlavamo di fare di nuovo qualcosa insieme. Con questo progetto ci siamo davvero divertiti, avremo realizzato almeno 60 modelli. Ho sempre pensato che un piccolo edificio fosse come una poesia, mentre un grande edificio fosse come un romanzo. E Frank è un poeta».

Ritrova questo articolo con le fotografie di Gianni Franchellucci a pagina 106 di AD di gennaio.

Per abbonarti ad AD, clicca qui.

POST A COMMENT