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«In cent’anni è cambiato tutto e non è cambiato nulla»: un secolo di Buccellati

Quelle per il disegno e per l’eccellenza sono passioni che si tramandano come un gioiello di famiglia. Il capostipite fu Mario Buccellati, che aprì la prima boutique nel 1919, in Largo Santa Margherita a Milano, frequentata da clienti affezionati e personalità del calibro di Gabriele D’Annunzio. Nel 1951, Gianmaria Buccellati lanciò l’azienda oltreoceano, aprendo il primo negozio a New York e un secondo nel 1954 sulla Fitfh Avenue. Oggi è suo figlio, Andrea Buccellati a essere a capo dell’azienda di famiglia, come Presidente Onorario e Direttore Creativo del Gruppo, accompagnato dalla figlia Lucrezia.

La storia di Buccellati è lunga un secolo. Per oltre cento anni, l’amore del suo fondatore per l’arte e la cultura italiane si sono tradotte in opere straordinarie. Il Rinascimento, i pizzi, i tessuti damascati mixati con sapienti influssi dell’Oriente e dell’Antica Grecia hanno dato vita a lavori finissimi. Tecniche come cesellatura e incisione che sono diventate un segno distintivo del marchio. «In cent’anni è cambiato tutto e non è cambiato nulla – spiega Andrea Buccellati – sono cambiati i concetti generali, ma le tecniche di lavorazione, lo stile e le ispirazioni sono rimaste le stesse, così come i riferimenti all’arte del passato. Sono questi che ci hanno permesso, anche a distanza di cent’anni, di essere ancora unici, con uno stile ben identificato. Un oggetto Buccellati si riconosce immediatamente».

Un pezzo di argenteria lavorato in atelier

L’amore per l’azienda per Andrea Buccellati è innato. «Quando ero bambino, sotto le feste, tutta la famiglia andava in azienda per festeggiare il Natale bevendo il tè e mangiando il panettone con gli artigiani – racconta – avevo cinque anni. Allora vedevo mio nonno come un semidio, tutti lo adoravano. Ero sempre stato affascinato dalle lavorazioni, dagli artigiani all’opera. Vedevo mio padre disegnare e a dodici anni ho deciso che quella sarebbe stata la mia strada. Quando glielo dissi, mi guardò come per dire “tu sei matto”. Ma a 14 anni invece che andare a giocare a pallone come tutti, andavo in laboratorio. E visto che sono abbastanza insistente, alla fine ha ceduto». Con sua figlia Lucrezia, che oggi vive a New York, è stato diverso: «Fin da bambina ha avuto la passione per il disegno – racconta – ma invece che farla entrare subito in azienda, ho voluto che si formasse fuori. La mia scuola è stata soprattutto al fianco di mio padre, un’esperienza straordinaria. Lei ha fatto il Politecnico, il F.I.T, studi di gemmologia. Volevo che partisse da un punto di vista diverso, e che lo trasformasse nello stile dell’azienda. Ma ovunque andasse, si sentiva ripetere: “Non devi fare i disegni Buccellati”. Ma l’universo Buccellati era parte di lei ormai, e ne sono stato molto fiero».

Orecchini Art collection

Come fa un’azienda a rimanere fedele a se stessa per cento anni?

«È fondamentale mantenere l’artigianalità, la qualità dell’artigianato. Poi tramandare di generazione in generazione lo stile, la tradizione e le esperienze, come mio padre ha fatto con mio nonno e io con mio padre: siamo nati e cresciuti all’interno di questa azienda. Giorno per giorno si assorbono non solo i concetti generali, ma anche la capacità di interpretazione dello stile. Passando le giornate in laboratorio, vivendo fianco a fianco a mio padre e agli artigiani è nato un rapporto di reciprocità: io ho assorbito da loro, come loro hanno assorbito da me e da mio padre. Le grandi aziende devono mantenere una certa continuità. In quel senso, il percorso è segnato e mantiene viva l’essenza del marchio».

Quanto è importante la formazione dei giovani artigiani per il futuro dell’azienda?

«Fondamentale. Se non avessimo i nostri artigiani non saremmo qui. Non è sufficiente il disegno, serve anche una capacità di interpretazione. Come fare oggi? Malgrado tutto sono abbastanza ottimista. Negli anni  ‘70 e ‘80 ho vissuto un progressivo abbandono dell’artigianato. C’è stato un fuggi fuggi: tutti volevano diventare i nuovi Bill Gates, lavorare in banca. Ma già verso la fine di quel periodo, i giovani hanno capito che non potevano essere tutti dei banchieri e si sono riavvicinati al lavoro artigianale. Come azienda abbiamo investito nelle risorse umane: abbiamo creato una scuola-bottega vecchio stile dove formiamo giovani incisori (dai venti ai trenta ogni tre anni circa), affiancandoli ad artigiani con esperienza. È una professione antica, che altrimenti andrebbe persa, faticosa sia dal punto di vista fisico che psicologico, che comporta lo stare seduti a un bancone per ore, a svolgere un lavoro di precisione. Per noi è importantissimo trasmettere le nostre tecniche, e questo è uno degli investimenti a cui teniamo di più». 

Una lavorazione Buccellati

Il Covid e la pesante crisi economica che ha investito il mondo hanno toccato anche l’alta gioielleria. Come ha risposto il marchio?


«
La pandemia ha colpito il settore del lusso come moltissimi altri. Fortunatamente, essendo una grande azienda, stiamo riuscendo a parare il colpo. Purtroppo non si può dire lo stesso di realtà più piccole. Quello che ci sta aiutando in questo momento a mitigare l’abbattimento di fatturato è l’Asia».

Un anello da cocktail del marchio

Chi è la donna Buccellati oggi?


«La donna di Buccellati è estremamente elegante, raffinata, ama la cultura, non vuole fare show. L’arte è la mia ispirazione. Quando disegno mi ispiro a diverse realtà, all’arte generale, al Rinascimento, all’architettura.  A Venezia, alla città di Firenze, ci sono tanti dettagli che hanno sempre accompagnato l’azienda. L’ importante è quello che ti senti dentro, che trasmetti. In questo mi aiuta molto mia figlia Lucrezia. Lei mi ha portato a pensare all’indossabilità. Quando disegno un gioiello Bucccellati, voglio che rimanga fedele a se stesso ma sempre attuale».

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