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In Catalogna centinaia di migliaia in piazza contro le violenze a seggi

La strategia del leader Puigdemont: rimandata la trasmissione ufficiale dei risultati

«Slealtà inammissibile verso lo Stato». Re Felipe di Spagna rompe il silenzio dopo il referendum per l’indipendenza e parla alla nazione.   Si era presa un giorno di pausa Barcellona si era presa un giorno di pausa, ma oggi le strade si sono di nuovo riempite con 300mila persone a sfilare in corteo per la città, urlando slogan come: «Fuori le forze di occupazione» e «le strade saranno sempre le nostre. Tutta la Catalogna è scesa in piazza per protestare contro le violenze della polizia spagnola domenica contro i seggi del referendum. A due giorni dallo storico primo ottobre, la tensione resta altissima. «Oggi è una giornata di protesta democratica, civica e degna. Non vi lasciate coinvolgere dalle provocazioni. Il mondo lo ha visto: siamo gente pacifica» scrive su Twitter il governatore, Carles Puigdemont. «La pace, il civismo e la dignità ci hanno portati fin qui. Il successo definitivo dipende dal fatto di rimanere impegnati come sempre. Proseguiamo!».
Centinaia di trattori bloccano l’A2 a nord di Barcellona

 “Fermiamo il Paese”

Il motto scelto per lo sciopero generale, una protesta che in realtà era già stata organizzata da tempo, è «fermiamo il Paese». Nel capoluogo niente autobus e servizi pubblici, chiuse le scuole, ma anche fabbriche e molti negozi. La giornata è cominciata con l’assedio (pacifico) alla sede del Partito Popolare dell’odiato premier Rajoy, ma i cortei hanno cominciato a formarsi ovunque. A mezzogiorno tutti sono confluiti nella sede storica dell’università di Barcellona, una massa impressionante, soprattutto di giovani con cori e bandiere indipendentiste. Altro punto caldo: la sede della polizia nazionale spagnola nella via Laietana, assediata sin da ieri da migliaia di persone. Bloccate alcune autostrade e importanti arterie.  Il Partito Popolare critica duramente la protesta: «È uno sciopero politico, degno del regime nazista», dice il portavoce al Congresso dei deputati Rafael Hernando. Un riferimento durissimo all’appoggio esplicito della Generalitat alla mobilitazione di piazza.
C’è aria di rottura a Barcellona tra la polizia nazionale e i Mossos catalani

 
I risultati non trasmessi ufficialmente
Chi pensava a un’accelerata del governo catalano viene, però, smentito, almeno per ora. Ieri Puigdemont, dopo aver condannato con toni definitivi le operazioni della polizia, ha messo l’accento sulla volontà di dialogo, se non direttamente con il governo spagnolo (non c’è nessuna linea di comunicazione tra Madrid e Barcellona) almeno con l’aiuto di qualche mediatore magari internazionale: «L’Europa la smetta di guardare dall’altra parte». La «legge di rottura» fissa le date: 48 ore dopo la proclamazione dei risultati il parlamento di Barcellona approva la dichiarazione unilaterale di indipendenza. La data sarebbe domani, Madrid si preparava a reagire, ma gli indipendentisti utilizzano un escamotage per prendere tempo: i risultati non sono ancora stati trasmessi ufficialmente. Albert Rivera, il leader (catalano) del partito centrista Ciudadanos, crede che sia un trucco: «In 72 ore Puigdemont dichiara la secessione» dice chiedendo al premier Mariano Rajoy di togliere l’autonomia alla regione ribelle, applicando un articolo della costituzione spagnola, mai utilizzato. In effetti, questo rallentamento, racconta un dirigente della coalizione indipendentista, non va letto come uno stop: «Stiamo cercando il momento migliore, il Parlamento si potrebbe riunire nel fine settimana». I mercati intanto, a lungo immuni dalle vicende del referendum, iniziano a temere l’instabilità e a pagare sono soprattutto le banche catalane.
 

 
In attesa di capire fino a dove si spingano i catalani, il governo spagnolo cerca sostegno nell’opposizione: Rajoy vede i socialisti e Ciudadanos in vista di tempi ancora peggiori. Ma se i centristi lo appoggiano quasi caricandolo, il Psoe evita toni da santa alleanza: «Puigdemont e Rajoy si vedano subito», dice il segretario Pedro Sanchez. Ma la Catalogna indipendentista non ascolta: «Siamo già un altro Stato» si canta in piazza.

 

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