La prima cosa che il nostro ministro immaginario dello Sviluppo Economico fa è chiamare il responsabile operativo del Ministero e chiedergli di quali documenti dispone per aver un quadro della situazione italiana. Dopo poco si trova sulla scrivania uno studio di una quarantina di cartelle A4, scritte fitte fitte, dal titolo, datata 6 febbraio 2014. Fu redatta per Matteo Renzi allora all’avvio (con tante speranze di moltissimi, me compreso) della sua fatua esperienza politica.
Nel 2015 inserii questo studio in un post: il lettore del Fatto poteva leggerselo semplicemente cliccando sul link, come può farlo anche adesso. Si renderà subito conto di che significa preporre a strumento del sistema un ente la cui unica bussola è la burocrazia vuota e insulsa. Io l’ho definito un peana al nulla: è semplicemente uno studio socio-economico dal quale non è possibile individuare la minima preoccupazione per la nostra economia produttiva ed aiutarla. Fra i consulenti consultati per stendere questo studio ci sono fior di imprenditori: dai quali pure traspare la più pacifica assenza di idee. E il Mise dovrebbe esserne il massimo Centro-studi.
Eppure al nostro ministro Mise appare una considerazione evidente: un grande esercito, armatissimo, con soldati di prim’ordine, disgregato, affidato all’abilità di singoli, ma senza una organizzazione sinergica e, soprattutto, senza un obiettivo vincente. Gli si disegna l’immagine di compagnie di ventura, che si vendono al miglior offerente o all’offerente occasionale, compagnie che seminano disastri e non costruiscono nulla. E capisce che qui sta la nostra grande debolezza e che la soluzione non può che essere una sola: la scelta di obiettivi primari e una strategia operativa con una ristrutturazione organizzativa.
Ma in quel quadro d’insieme tendeva a mancare un attore fondamentale e determinante: il mercato. Tutti i protagonisti aspiravano a interagire col mercato per avere lucrosi ordini, tutti a testa bassa salvo poi ritrovarsela ammaccata, se non proprio rotta. Ma che cos’è, alla fin fine, questo mercato? Diceva un vecchio imprenditore del varesotto (una persona per bene, dedita alla sua ‘asienda’) “basta c’à i macchin a giren e va tuss coss ben…” ovvero “quando le macchine girano tutto funziona bene”. Già, fosse così semplice!
Il mercato, infatti, non può essere paragonato ad un tessuto a tinta unita ma a una pelle di un leopardo: tantissime macchioline nere su un fondo giallo. Non è affatto vero che si possa aspirare a guadagnare interagendo con qualsiasi macchiolina, o gialla o nera: se si perdono gli ordini non è detto che la nostra azienda non sia competitiva e gli altri siano più bravi di noi.
A poco a poco il nuovissimo ministro Mise dipanava nella sua testa la tela. E capì due cose fondamentali. La prima, che l’obiettivo era uno e fondamentale: entrare in contatto con le macchioline giuste. La seconda, che per entrare in contatto con le macchioline giuste era essenziale vedere e conoscere macchiolina e macchiolina, o almeno riuscendo a distinguere fra gruppi logici di macchioline.
E qui si fece prendere dallo sconforto perché il nostro era una persona di coscienza e anche avveduta. Capì che doveva intervenire su un corpo molto complesso, che lo doveva rispettare fino in fondo e che doveva cercare di ‘costruire’ una soluzione ragionevole e efficace. Prese carta penna e calamaio e si mise a comporre: ne venne fuori questo spartito.

Ci pensò su un po’ e la cosa cominciava a convincerlo. Capì che quella era la strada maestra: consultò ancora, per puro scrupolo professionale, la celebre “Relazione del Garante al presidente del Consiglio” ma niente, tutto taceva e il còr del Mise si dava pace.