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Il lato oscuro di Montecarlo

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Mentre sta per partire il processo per l’omicidio dell’ereditiera Pastor, il Principato lotta per mantenere il suo ruolo di paradiso fiscale. Gloria, intrighi e sfarzo kitsch sulla Costa Azzurra

Un’estate come tante sta passando a Montecarlo. I bagnanti si sono goduti la spiaggia del Larvotto, piccola Acapulco artificiale strappata al Mediterraneo. Port Hercule è lastricato di yacht che consentirebbero di camminare lungamente sulle acque anche a chi non è vocato al miracolo. Sono ancora pieni i grattacieli più cari del mondo, dove la superficie equivalente a un tavolino da ristorante per due persone può costare fino a 60 mila euro.
Dentro questi colossi assiepati nei due chilometri quadrati del Principato, un fazzoletto di terra grande quanto il quartiere Casilino a Roma, risiedono 38 mila privilegiati che i Grimaldi hanno salvato da una delle due certezze ineluttabili per i mortali, le tasse. A ottobre la gran parte dei 30 mila espatriati supervip se ne sarà andata nei Paesi di origine e lascerà la Rocca agli 8 mila monegaschi con diritto di suolo e di sangue. Per loro sarà il momento di riflettere sulle tempeste che arriveranno nei sei mesi successivi.
Nel 2016 l’Unione europea, rappresentata dal commissario agli Affari economici, il socialista francese Pierre Moscovici, ha firmato con il Principato un accordo sulla trasparenza e la collaborazione fiscale che entrerà in vigore a febbraio del 2018. La Rocca dovrà adeguarsi ai criteri stabiliti dall’Ocse per tutti i Paesi che aspirano alla white-list. L’obiettivo è mettere fine al sistema delle residenze fiscali fittizie che consente alle persone fisiche di non pagare le tasse. In passato, molti italiani, francesi e belgi, i più affezionati clienti del sistema Montecarlo, di solito integrato con società di comodo in Lussemburgo o in Svizzera, hanno dovuto firmare transazioni con l’Erario per mettersi in regola: da Luciano Pavarotti e Katia Ricciarelli, da Andrea Bocelli a Giancarlo Fisichella. Max Biaggi è invece sotto processo a Roma.
Il nuovo accordo, che prevede lo scambio automatico di informazioni, è molto più temibile della vecchia normativa. Chi si sentirà minacciato dal nuovo spirito collaborativo dei Grimaldi?
Per ora la fuga preventiva delle banche dalla Rocca non si è vista. Nel 2016 c’erano 88 fra istituti di credito e società di gestione patrimoniale. Oggi ce ne sono 85, con attivi stimati in 120 miliardi di euro.
L’unico addio eccellente, quello della Hsbc, annunciato ma non completato, fa parte di una ristrutturazione dell’istituto a livello globale dopo lo scandalo dei SwissLeaks.
Il banco di prova aprirà da febbraio per i due terzi dei cittadini monegaschi che lavorano nella finanza e nell’immobiliare. Il secondo gode di salute eccellente, ma è legato a filo doppio al primo. L’Imsee, l’Istat locale, nell’ottobre scorso ha valutato in 1,79 miliardi di euro le transazioni immobiliari del 2015. È una cifra in calo rispetto al record storico di 2,05 miliardi nel 2014. Ma è un’enormità rispetto ai 496 milioni di euro di compravendite concluse nel 2009, l’anno della crisi bancaria mondiale.
L’economia reale non è ai massimi. L’estate 2017 è andata meglio, dopo un 2016 segnato dal trauma della strage dell’Isis il 14 luglio nella vicina Nizza. L’impresa locale più nota, la Société des bains de mer (Sbm), proprietaria dell’Hôtel de Paris e della casa da gioco più famosa del mondo, ha chiuso a fine marzo un bilancio in perdita per 36 milioni, dopo un rosso da 29 milioni l’anno precedente. Al casino, su tavoli dove Ljuba Rizzoli, Vittorio De Sica e Omar Sharif si rovinavano alla roulette, non si scommette più come un tempo: meno 6 per cento.
Quello che le statistiche non sanno dire è il legame costante negli anni fra i soldi, le case, i conti bancari accessibili ai soli residenti e il sangue.
Mattone rosso
Il flirt fra la gloria di Monaco e il crimine sarà al centro del processo imminente per l’omicidio di Hélène Pallanca Pastor e del suo autista Mohamed Darwich, avvenuto a maggio del 2014 davanti all’ospedale Archet di Nizza, dove la secondogenita di Gildo Pastor era andata a trovare il figlio, Gildo come il nonno, ricoverato dopo un ictus.
Le udienze, che inizieranno davanti alla Corte d’Assise di Marsiglia tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, dovranno chiarire le responsabilità dei dieci imputati. Il principale è Wojciech Janowski, genero della miliardaria settantasettenne e compagno della figlia Sylvia Pastor. L’ex croupier venuto da Varsavia è accusato di avere architettato l’assalto di Nizza insieme al suo coach sportivo Pascal Dauriac, che avrebbe ingaggiato il killer per 140 mila euro.
Il movente è chiaro: i soldi di Hélène. Esponente della terza generazione dei Pastor insieme ai fratelli Victor e Michel, la signora partecipava a un asse ereditario valutato nel suo complesso oltre i 20 miliardi di euro per 500 mila metri quadrati di appartamenti e uffici.
Il nuovo corso del Principato, con il sorridente e mediatico Alberto impegnato a rivitalizzare l’età d’oro della madre Grace insieme con la moglie sudafricana Charlene e i due gemelli, potrebbe avere qualche imbarazzo a prendere le distanze dal “crime crapuleux” per dirla con il commissario Maigret.
Janowski aveva conoscenze di peso sulla Rocca, dopo tanti anni. Fra queste, figura Emmanuel Falco, figlio del senatore e sindaco repubblicano di Tolone Hubert Falco e soprattutto consigliere privato del principe Alberto.
Falco ha seguito Janowski in alcune delle sue scorribande finanziarie come amministratore della società Firmus. E quando il console onorario della Polonia ha creato la onlus Monaco against autism la presidenza onoraria è stata conferita alla principessa Charlene.
Il teorema familiare
Una percentuale fra il 15 e il 20 per cento del patrimonio monegasco è in mano alla famiglia Pastor, che talvolta compra, spesso costruisce, ma non vende mai.
È il primo e unico comandamento trasmesso alle generazioni dal fondatore Giambattista, tagliatore di pietre venuto dalla Liguria alla fine del diciannovesimo secolo per costruire la cattedrale, e dal figlio Gildo, imprenditore visionario capace di far impallidire le sfrenatezze edilizie di Dubai, arrivate più di mezzo secolo dopo.
Pastor significa potere locale, distribuito su un gruppo di società legate ai vari rami della famiglia (Groupe Pastor, J-B Pastor et fils), arrivata alla quinta generazione con i ventenni e divisa fra chi segue le attività di famiglia e chi ha scelto la via dell’arte come Philippe, erede di Victor, e sua figlia Victoria.
Nelle ore successive al ferimento di Hélène Pastor, che morirà quindici giorni dopo l’agguato riuscendo a parlare con gli investigatori, si è attribuito il fatto alle principali organizzazioni criminali del mondo, dalla ’ndrangheta ai russi. Dopo i risultati delle analisi sulla scena del delitto, l’inchiesta ha preso rapidamente la strada giusta, quella dell’eredità.
Il diritto monegasco è molto restrittivo sulle successioni. Per garantire che i patrimoni locali non si disperdano nelle mani di nuovi arrivati, i beni passano ai familiari in automatico. Per eludere la norma è necessario motivare in modo stringente una volontà diversa con un atto testamentario.
La discendente di Gildo Pastor non l’aveva fatto. I suoi 6 grattacieli, i 90 mila metri quadrati di uffici del Gildo Pastor center, costruiti da Gildo jr, e un reddito da affitti di 22 milioni all’anno sarebbero andati 50/50 allo stesso Gildo junior e alla sorella Sylvia, la compagna di Janowski, che riceveva dalla madre un mensile di 500 mila euro.
Troppo pochi per il console onorario polacco, che aveva ben altre necessità. Per esempio, doveva accrescere in modo artificioso il corso di Borsa della sua Hudson Oil, quotata a Francoforte, per poi farlo crollare intascando la plusvalenza secondo il noto schema speculativo del “pump and dump” (pompa e sgonfia), identificato e bloccato dalle autorità di controllo tedesche. L’eredità avrebbe risolto ogni problema. Ed era previsto anche un secondo atto.
Secondo il complice Dauriac, anche al cognato Gildo sarebbe toccato il trattamento riservato a Hélène, stavolta con la variante del tiro a distanza di un cecchino.
Tradizione Italia
L’Italia non si è fatta mancare la sua quota di Monaco in rosa o in nero. Dopo i nomi storici, e italiani, di Grimaldi e Pastor sono arrivati i principini Casiraghi, figli di Stefano e di Carolina, primogenita di Ranieri e Grace.
I residenti italiani sono oltre 6 mila, poco meno dei monegaschi. Per decenni si è detto che il punto d’incontro dei più influenti fra loro era la Loggia Montecarlo, una sorta di Spectre di Ian Fleming che accoglieva eversori in trasferta, purché solvibili.
Più realisticamente il Principato è lo specchio in distorsione del business all’italiana. Ci sono stati a lungo gli armatori genovesi, come i Ravano, o romani, come i Lefebvre d’Ovidio, oppure immobiliaristi come Stefano Ricucci, prima del suo ultimo arresto, e Francesco Bellavista Caltagirone, ex socio di Casiraghi e protagonista insieme a Claudio Scajola della spy story ancora irrisolta sulla latitanza di Amedeo Matacena junior, che viveva nel Principato prima della fuga a Dubai.
Anche per queste vicende, contemporanee all’omicidio Pastor, sembra passata un’eternità. La capacità di metabolizzare in fretta ha spesso consentito a Monaco di smentire i pessimisti che la volevano sempre all’ultimo Gran Premio.
Già nel 1963, sette anni dopo il matrimonio fra Ranieri III e la star di “Caccia al ladro” Grace Kelly, il presidente francese Charles de Gaulle bloccò le strade di accesso alla Rocca per stroncare l’evasione. Da lì ai SwissLeaks mezzo secolo è passato invano.
Certo, non tutto il 2018 sarà segnato da momenti critici. Le liete ricorrenze internazionali saranno rispettate. Ci saranno il torneo di tennis ad aprile e la Formula 1 a maggio. A luglio si annuncia una festa speciale per il settantesimo Gran Gala della Croce Rossa, festival dell’ipocrisia creato nel 1948 da Luigi II per redimere lussi atroci con un po’ di soldini spediti in Burkina Faso mentre gli invitati venivano rallegrati dal Rat Pack di Frank Sinatra. In tempi più recenti, si sono esibiti Stevie Wonder, Gloria Gaynor, Elton John.
Sembra una lotta impari con i nuovi paradisi per nuovissimi milionari dove si può costruire a rotta di collo senza dover contendere un palmo di terra in più al mare. Ma il fascino di Monaco resiste. L’importante è avere molti soldi e non soffrire di claustrofobia, perché, alla fine, il Principato è un mondo aperto ai ricchi che accettano di chiudercisi dentro. Un caso di cronaca ormai impolverato spiega meglio di tutto il “Montecarlo state of mind”.
Il 3 dicembre 1999, in una delle torri più lussuose della Rocca, scoppia un incendio. Muoiono per asfissia Edmond Safra, nato a Beirut, ma brasiliano di passaporto, e l’infermiera che stava con lui. Safra era uno dei più noti banchieri privati del mondo. Ancora oggi una delle 85 istituzioni finanziarie della Rocca porta il suo cognome.
Come nel caso di Hélène Pastor, all’inizio si ipotizzano intrighi internazionali, mafie, il terrorismo palestinese.
Il processo rivelerà che le fiamme erano state appiccate da uno degli assistenti di Safra, lo statunitense Ted Maher, che insieme all’incendio aveva ideato un piano di salvataggio eroico per acquisire meriti, e mancia competente, dal suo datore di lavoro.
Ma Safra, in piena paranoia, si era barricato dentro il suo appartamento e rifiutato di aprire la porta blindata ai soccorritori, credendoli sicari. E quando i pompieri erano riusciti a sfondare il battente d’acciaio, il banchiere era già senza vita.
Montecarlo invece non ha di che lamentarsi. Troverà un modo di superare anche la buriana dell’accordo anti-evasori. Il margine di manovra della lussuosa barchetta monegasca è abbondante. Dai tempi di Safra gli oligarchi sono solo aumentati, in numero e in potenza.
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