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Il diritto all’oblio: Una legge tutta da interpretare

A seguito del riconoscimento del diritto all’oblio in ambito comunitario ogni persona deve avere il diritto di rettificare i dati personali che la riguardano e il “diritto alla cancellazione e all’oblio”, se la conservazione di tali dati non è conforme al Regolamento.

In particolare, l’interessato deve avere il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a trattamento i propri dati personali che non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati, quando abbia ritirato il consenso o si sia opposto al trattamento dei dati personali che lo riguardano o quando il trattamento dei suoi dati personali non sia altrimenti conforme al Regolamento.

Tale diritto è particolarmente rilevante se l’interessato ha dato il consenso quando era minore, e quindi non pienamente consapevole dei rischi derivanti dal trattamento, e vuole successivamente eliminare questo tipo di dati personali, in particolare da Internet.

L’interessato dovrebbe poter esercitare tale diritto indipendentemente dal fatto che non è più un minore. Tuttavia, dovrebbe essere lecita l’ulteriore conservazione dei dati qualora sia necessaria per esercitare il diritto alla libertà di espressione e di informazione, per adempiere un obbligo legale, per eseguire un compito di interesse pubblico o nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, per finalità di archiviazione nel pubblico interesse, per finalità di ricerca scientifica e storica o finalità statistiche o per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria.

Per rafforzare il “diritto all’oblio” nell’ambiente on line, è opportuno che il diritto di cancellazione sia esteso in modo da obbligare il titolare del trattamento che ha pubblicato dati personali a informare i responsabili del trattamento che stanno trattando tali dati affinché cancellino qualsiasi link verso tali dati personali o copia o riproduzione di detti dati. Per garantire l’informazione sopramenzionata, è opportuno che il titolare del trattamento prenda misure ragionevoli, tenuto conto della tecnologia disponibile e dei mezzi a sua disposizione, anche di natura tecnica, per informare i responsabili del trattamento che stanno trattando i dati della richiesta dell’interessato.

Il diritto all’oblio è un concetto tornato prepotentemente alla ribalta in ambito internazionale e principalmente europeo con l’avvento della Rete e diverse sono le definizioni fornite dalla dottrina.

Secondo la nota enciclopedia della Rete Wikipedia “il diritto all’oblio è una particolare forma di garanzia che prevede la non diffondibilità di precedenti pregiudizievoli, per tali intendendosi propriamente i precedenti giudiziari di una persona. In base a questo principio, non è legittimo diffondere dati circa condanne ricevute o comunque altri dati sensibili di analogo argomento, salvo che si tratti di casi particolari ricollegabili a fatti di cronaca. Questa garanzia è variamente riconosciuta ed applicata a seconda degli ordinamenti.

Secondo un’altra impostazione dottrinaria il diritto all’oblio è il diritto di un individuo ad essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. Il suo presupposto è che l’interesse pubblico alla conoscenza di un fatto è racchiuso in quello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, e che con il trascorrere del tempo si affievolisce fino a scomparire. In pratica, con il trascorrere del tempo il fatto cessa di essere oggetto di cronaca per riacquisire l’originaria natura di fatto privato. Ecco che un rapinatore potrà invocare il diritto all’oblio se il fatto che lo portò alla ribalta dieci anni prima venisse riproposto in tv.

Secondo altri il diritto all’oblio è quindi la naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca. Come non va diffuso il fatto la cui diffusione (lesiva) non risponda ad un reale interesse pubblico, così non va riproposta la vecchia notizia (lesiva) quando ciò non sia più rispondente ad una attuale esigenza informativa.

Il diritto all’oblio, secondo altra dottrina (ZAMMATARO) può essere visto come uno dei molteplici aspetti in cui si manifesta il diritto alla riservatezza. Alcuni autori l’hanno inteso come difesa dal ritorno del rimosso, dal presentarsi di ricordi dolorosi. Ecco dunque che il diritto all’oblio – inteso come tutela dell’interesse del soggetto a che non vengano riproposte vicende ormai superate dal tempo – si pone in diretta correlazione e contrapposizione con l’interesse alla conoscenza, nel senso che, in virtù di esso, si pretende che non debba essere più divulgato un fatto che non abbia più attualità nel presente.

Il diritto all’oblio secondo Corasaniti è il diritto a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all’informazione. «Non è tanto inibire il dato – afferma Corasaniti – quanto la circolazione non autorizzata del dato». Ma è importante ricordare che il Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (1998) distingue chiaramente cosa sia o meno di interesse pubblico. «Importante è l’art. 6 del Codice, che parla di essenzialità dell’informazione – ricorda Corasaniti – chiarendo che una notizia può essere divulgata, anche in maniera dettagliata, se è indispensabile in ragione dell’originalità del fatto, della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti».

Altra dottrina ritiene che il cuore del contenuto del diritto all’autodeterminazione informativa (a questo ci si riferisce quando si parla di privacy nelle moderne società dell’informazione) consiste nel potere attribuito all’interessato di ottenere la rettifica o l’aggiornamento dei propri dati personali inesatti o non aggiornati, oppure la cancellazione di informazioni trattate violando la legge. Solo attraverso questi strumenti è possibile mantenere il controllo sulla circolazione delle informazioni che ci riguardano, anche al fine di tutelare la nostra identità. Ciò significa, tra l’altro, poter chiedere la cancellazione dei dati che riflettono un’immagine di noi stessi così risalente nel tempo da non corrispondere più al nostro attuale modo di essere: in questi casi, e a determinate condizioni, è giusto riconoscere il cosiddetto diritto all’oblio.

Altra dottrina più recente (SCORZA) sostiene che per diritto all’oblio, si intende il diritto a che nessuno riproponga nel presente un episodio che riguarda la nostra vita passata e che ciascuno di noi vorrebbe, per le ragioni più diverse, rimanesse semplicemente affidato alla storia.

In realtà, sostiene questa dottrina, ci sono due diritti all’oblio. Il primo è quello tradizionale, sul quale abbiamo già una giurisprudenza. Per fare un esempio: se un regista decide di fare un film su un ex-terrorista – che magari ha espiato la sua condanna e si è rifatto una vita –  riportando nell’attualità una vicenda che è sepolta nella memoria dei più, ha dei limiti imposti dal diritto. La giurisprudenza, in questo caso, salvo un interesse attuale nella riproposizione di questa storia, sostiene che prevale il diritto del singolo.

Oggi, invece, quando si parla di diritto all’oblio in Rete lo si fa con un’accezione un po’ diversa, e questo è parte del problema anche dal punto di vista giuridico. In questo caso non si parla più del diritto di ciascuno a che altri non ripropongano fatti del passato, ma si discute anche della circostanza che ognuno avrebbe il diritto a riprendersi, diciamo così, dei tasselli della propria storia che sono pubblicati on line.

Con questa definizione, quindi, si affronta il concetto più moderno ed attuale del diritto all’oblio in rete che ha portato il noto studioso e blogger Peter Fleisher ad individuare gli 8 punti cardinali per la privacy online:

  1. Se posto qualcosa sul web, ho poi il diritto di cancellarlo?
  2. Se qualcuno copia il mio contenuto, ho il diritto di cancellarlo anche dall’altro sito?
  3. Se qualcun altro posta qualcosa su di me, ho il diritto di cancellarlo?
  4. Le piattaforme online hanno l’obbligo di cancellare le informazioni personali?
  5. Se si dopo quanto tempo?
  6. Internet deve imparare a dimenticare?
  7. Internet deve essere ripensato per essere più vicino alla mente umana?
  8. Chi ha il compito di decidere cosa può essere ricordato e cosa deve essere dimenticato?
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Ma cerchiamo di ritornare a quello che è un concetto più ampio di diritto all’oblio per poi tornare al fenomeno Internet.

L’oblio è un diritto che va oltre la tutela della privacy e solo da poco ha trovato trova legittimazione nell’ordinamento nazionale ed europeo.

Frutto di elaborazioni dottrinarie, giurisprudenziali (In Italia assumono rilevanza alcune decisioni della Corte di Cassazione come Cass., 9/4/1998, n. 3679; Cass., 25/6/2004, n. 11864;  Cass., 05/04/2012, n. 5525Cass. 26/06/2013, n. 16111Cass. 24/06/2016, n. 13161) e principalmente delle Autorità Garanti europee è da intendersi quale diritto dell’individuo ad essere dimenticato; diritto che mira a salvaguardare il riserbo imposto dal tempo ad un notizia già resa di dominio pubblico.

Come fondamento normativo del diritto all’oblio, il Codice della Privacy prevede che il trattamento non sia legittimo qualora i dati siano conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali sono stati raccolti o trattati (art. 11 d.lgs. n. 196/2003). Lo stesso interessato ha il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione (art. 7 d.lgs. n. 196/2003).

Il diritto all’oblio si colloca, quindi, nel quadro dei diritti della personalità come una particolare forma di garanzia connaturata al diritto alla riservatezza e si distingue dal diritto all’identità personale che può essere definito come l’interesse di ogni persona a non vedere travisato o alterato all’esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, professionale, a causa dell’attribuzione di idee, opinioni, o comportamenti differenti da quelli che l’interessato ritenga propri e abbia manifestato nella vita di relazione.

Il diritto all’identità personale è relativo alla tutela dell’immagine pubblica della persona, o comunque dell’immagine di sé che il soggetto intende proiettare nel mercato delle relazioni sociali (intendendo immagine in senso metaforico), mentre il diritto all’oblio attiene alla protezione di una sfera intangibile di intimità e riserbo dell’individuo, da mettere al riparo da intrusioni altrui. Quest’ultimo è stato invocato da parte di soggetti che, dopo aver conosciuto i loro quindici minuti di celebrità essendo stati protagonisti – talvolta loro malgrado – di fatti eclatanti, episodi di cronaca nera, e così via, sono stati successivamente “riscoperti” dai media (inchieste giornalistiche, documentari, film-verità, ecc.) e riportati così all’attenzione del pubblico. Si tratta quindi del diritto dell’individuo a non veder “risuscitare”, e proiettare agli occhi del pubblico, una propria identità ormai appartenente al passato, e che magari si è cercato faticosamente di emendare.

Nonostante la stretta contiguità tra riservatezza e oblio, i due concetti però non coincidono. Il diritto all’oblio può essere considerato in qualche misura speculare rispetto al diritto alla riservatezza, dal momento che il problema del diritto all’oblio si pone relativamente a situazioni che, per loro natura, nel momento in cui si sono verificate, non rientravano nell’ambito della tutela della riservatezza. E’ in ogni caso il tempo, il fattore che consente di distinguere i due concetti. Richiamandosi al diritto all’oblio s’intende, infatti, impedire che la notizia già pubblicizzata, resa nota, sfuggita alla sfera privata del soggetto, venga pubblicizzata nuovamente a distanza di un considerevole lasso di tempo. Il diritto all’oblio tuttavia non è rivolto a cancellare il passato, ma a proteggere il presente, a preservare il riserbo e la pace che il soggetto abbia ritrovato. Il diritto all’oblio è quindi il diritto di un soggetto a vedersi per così dire “dimenticato” dalle banche dati, dai mezzi di informazione, dai motori di ricerca che detengono i suoi dati in relazione ad un’attività di trattamento che sono autorizzati a compiere dal diretto interessato o dalla legge. Si pensi ad esempio al diritto di cronaca e ai dati immessi in rete da quelle testate giornalistiche che sempre più numerose si sono organizzate per rendere leggibili i loro articoli online.

Il problema del diritto all’oblio nasce storicamente in rapporto all’esercizio del diritto di  cronaca giornalistica. Difatti, presupposto perché un fatto privato possa divenire legittimamente oggetto di cronaca è l’interesse pubblico alla notizia. La collettività va informata con tempestività, in modo da poter conoscere l’accaduto in tempo reale e con completezza, così da fornirle una chiara visione del fatto.

Ma una volta che del fatto il pubblico sia stato informato con completezza, cessa l’interesse pubblico in quanto la collettività ha ormai acquisito il fatto. Non vi è più una notizia. Riproporre l’accadimento sarebbe inutile, poiché non vi sarebbe più un reale interesse della collettività da soddisfare. Non solo inutile per la collettività, ma anche dannoso per i protagonisti in negativo della vicenda.

Il diritto all’oblio è quindi la naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca. Come non va diffuso il fatto la cui diffusione (lesiva) non risponda ad un reale interesse pubblico, così non va riproposta la vecchia notizia (lesiva) quando ciò non sia più rispondente ad una attuale esigenza informativa.

Ma un ulteriore fondamento del diritto all’oblio va rinvenuto nell’art. 27, comma 3°, Cost., secondo cui “Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato”. E’ il principio della funzione rieducativa della pena. Questa, cioè, non deve avere soltanto la funzione di punire, ma anche (e soprattutto) quella di favorire il reinserimento sociale del condannato, la sua restituzione alla società civile. Ebbene, la pena non potrebbe assolvere alla funzione di restituire il condannato alla società civile se in quest’ultima rimanesse ben saldo il ricordo di quanto quel condannato ha fatto. Ricordo che sarebbe rafforzato proprio dalla riproposizione dello stesso fatto. E ciò dovrebbe valere tanto per i reati minori, quanto per quelli più efferati.

Ma con dei limiti. Vi sono fatti talmente gravi per i quali l’interesse pubblico alla loro riproposizione non viene mai meno. Si pensi ai crimini contro l’umanità, per i quali riconoscere ai loro responsabili un diritto all’oblio sarebbe addirittura diseducativo. O ad altri gravi fatti che vengono riproposti proprio perché non vengano dimenticati. O anche a vicende che si può dire abbiano modificato il corso degli eventi diventando Storia, come l’attentato al Papa, il “caso Moro”, i fatti più eclatanti di “Tangentopoli”. Qui non si può parlare di diritto all’oblio perché i fatti non diventano mai “privati”. Al contrario, sarebbe proprio la loro mancata riproposizione a porsi in contrasto con l’interesse pubblico, che qui prevale sempre sul diritto del singolo individuo a non essere più ricordato. Ma ad eccezione dei casi in cui l’interesse pubblico è destinato a non affievolirsi, il diritto all’oblio scatta sempre, a partire dal momento in cui cessa l’interesse pubblico intorno ad un fatto perché ormai acquisito. Per il protagonista in negativo della vicenda, quel fatto diventa “privato” ed acquista pienezza il suo diritto alla riservatezza.

Essendo il diritto all’oblio subordinato al perdurare della mancanza dell’interesse pubblico, può accadere che a distanza di tempo sorga un interesse pubblico alla riproposizione del fatto medesimo. E’ il caso di chi, essendo stato condannato per stupro anni prima, commette un’altra violenza sessuale appena uscito dal carcere.

Qui diventa legittima non soltanto la diffusione della notizia relativa all’ultima violenza, ma anche la rievocazione del vecchio delitto, poiché stimola nell’opinione pubblica l’inevitabile dibattito sulla funzione rieducativa del carcere, nonché sulle misure da adottare per contrastare un’autentica piaga sociale. Come è stata legittima la rievocazione, a distanza di trent’anni, del massacro del Circeo ai danni di Angelo Izzo, dopo che questi ne aveva replicato la ferocia smentendo così ogni ipotesi di ravvedimento.

Al diritto all’oblio, quindi, deve essere contrapposto il cd. “diritto alla storia”. In effetti, proprio sulla scorta di quanto affermato in sede di giurisprudenza comunitaria il diritto ad essere “dimenticati”, in tutto o in parte, va visto con particolare attenzione. Non sempre è giusto rimuovere dallo spazio pubblico un’informazione reale, veritiera e corretta, che quando è stata pubblicata era di sicuro interesse di cronaca e di sicuro interesse pubblico. E il tutto in nome dell’interesse del singolo.  A tale interesse può contrapporsi un interesse maggiore di carattere pubblicistico. In realtà la nostra storia ormai ci viene raccontata su Internet, o comunque in digitale.

Facendo passare, quindi, incondizionatamente questo principio che ciascuno di noi può riprendersi tutte le informazioni che lo riguardano pubblicate da terzi, fra quindici anni quando qualcuno (ammesso che Internet esista ancora) volesse ripercorrere la storia degli anni Duemila attraverso l’informazione on line, probabilmente trarrebbe l’errata conclusione che la nostra è stata un’età felice vissuta da gente per bene. È ovvio, infatti, che potendo, ciascuno andrà a togliere quello che non gli piace, in modo da avere la migliore “reputation” on line possibile.

L’attività giornalistica è stata modificata dallo sviluppo di Internet. La possibilità di raccogliere, incrociare, scambiare e archiviare informazioni personali si è enormemente accresciuta, consentendo una straordinaria circolazione e diffusione di conoscenze e di opinioni. La conseguenza è che oggi è divenuto estremamente difficile esercitare il diritto all’oblio in quanto le legittime richieste di cancellazione o aggiornamento devono anche tener conto dei diversi luoghi virtuali in cui tali informazioni compaiono: sul sito, sulla copia cache della pagina web, sui titoletti che costituiscono il risultato della ricerca tramite motore di ricerca.

Ognuno di questi luoghi ha un titolare di trattamento diverso e per i gestori dei motori di ricerca extraeuropei c’è l’ostacolo della disciplina applicabile. Una volta entrati nel circuito elettronico della rete, insomma, è davvero difficile far valere i propri diritti.

Nel testo del Regolamento il diritto all’oblio è recepito dall’art. 17 dove viene sancito che l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti:

a) i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;

b) l’interessato ritira il consenso su cui si basa il trattamento e non sussiste altro motivo legittimo per trattare i dati;

c) l’interessato si oppone al trattamento dei dati personali e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento;

d) i dati sono stati trattati illecitamente;

e) i dati devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento;

f) i dati sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione.

Inoltre sempre l’art. 17 chiarisce che il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione prende le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i responsabili del trattamento che stanno trattando i dati della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.

FONTE: http://www.altalex.com/

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