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ICEA: il 92% dell’olio di palma che consumiamo è sostenibile

Alcuni anni fa l’olio di palma è stato protagonista di un ampio dibattito relativo alle sue caratteristiche e, soprattutto, ai rischi per la salute e per l’ambiente, di cui Il Giornale del Cibo si è occupato seguendo le novità e gli aggiornamenti in corso, tra cui una discussione che ha coinvolto anche numerosi enti scientifici. La presenza o assenza di questo ingrediente nei prodotti era diventata una discriminante nelle scelte dei consumatori, tanto da aver indotto molte aziende a modificare le loro ricette di dolci, merendine e panificati per eliminarlo.

Oggi anche a causa della guerra tar Russia e Ucraina che ha reso quasi irreperibile l’olio di semi di girasole, molte aziende stanno tornando all’olio di palma e osserviamo un’inversione di tendenza: grazie alle rassicurazioni sugli effetti sulla salute, cresce l’utilizzo e il consumo, con un’ attenzione imprescindibile al tema della sostenibilità. C’è quindi una maggiore consapevolezza rispetto alla filiera del prodotto e una richiesta di garanzie forti, per cui si sente sempre più spesso parlare di “olio di palma certificato sostenibile”. Cosa si intende?

Per addentrarci nell’argomento abbiamo intervistato la dottoressa Michela Coli, ​​Responsabile schemi di certificazione BIO 848/18, Equivalenza EU e RSPO di ICEA, il principale istituto italiano per la Certificazione Etica e Ambientale.

Olio di palma certificato sostenibile: cosa si intende?


Il Report 2020 dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile conferma la crescita dei volumi di olio di palma certificato sostenibile utilizzati nel nostro Paese. Se nel 2019 l’86% di olio di palma importato in Europa era certificato RSPO (ovvero, che rispetta i criteri elaborati dal Round Table for Sustainable Palm Oil, organizzazione agricola che si occupa di elaborare standard globali concreti e credibili che identifichino l’olio di palma prodotto in maniera sostenibile), in Italia abbiamo consumato circa 1 milione e 411 mila tonnellate di olio di palma, di cui il 7% nel settore della cosmetica e dell’home care, il 15% nel settore alimentare e il 78% per usi tecnici industriali. Di questo, circa il 93% viene da fonti sostenibili.

Si tratta, dunque, di un prodotto che rispetta determinati standard lungo tutta la filiera: dalle tecniche di coltura alla garanzia di un salario minimo per tutti i lavoratori, fino alla massima sicurezza per il consumatore.

ICEA è, dunque, uno degli enti certificatori RSPO e si occupa di valutare parte della filiera dell’olio di palma e, in particolare, l’ultimo tratto che porta al consumo. Oggi sono 59 le aziende italiane valutate RSPO da ICEA su circa 150 in totale. È importante ricordare che ciascuna è valutata in maniera uniforme: tutti gli enti, infatti, applicano e verificano l’implementazione degli stessi criteri e garantiscono che il prodotto con il marchio sia sostenibile.

In conclusione, oggi in Italia la maggior parte dell’olio di palma che arriva al consumatore – sia direttamente sia come ingrediente di prodotti made in Italy – è realizzato seguendo criteri di sostenibilità e di salute lungo l’intera filiera.

Sapevate che l’olio di palma che troviamo in Italia nei prodotti alimentari o cosmetici rispetta tutti questi criteri?

Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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