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I fratelli Taviani: “C’eravamo tanto odiati”

I fratelli Taviani molto si amano e un po’ si sopportano. Il loro patto, umano e creativo, dura da ottantacinque anni: Paolo è nato che Vittorio, il maggiore, aveva due anni. «Siamo stati legatissimi, anche se c’è stato un periodo in cui ci siamo odiati», confessano ora seduti l’uno accanto all’altro sul divanetto del bell’appartamento in zona Lungara del primogenito. Gli anni infantili sono stati simbiotici, poi, improvvisamente, Vittorio si è allungato mentre Paolo è rimasto mingherlino. La differenza fisica ha alimentato il distacco. E così quando ha tentato l’impresa – venduto i pattini per una pistola, radunato un manipolo di coetanei per «andare a dare una mano agli americani» – non solo il minore non ha coinvolto il fratellone, ma gli ha portato via anche un amico. I ragazzi di San Miniato avevano scoperto che la misteriosa intermittenza paterna, che spariva per lunghi periodi, era dovuta a una militanza partigiana. E se il dissidio tra loro si è di rado tramutato in rissa – «ma qualche spintone ce lo siamo dato» – il momento della riconciliazione lo hanno fermato al cinema con il realismo di La notte di San Lorenzo «quei ragazzi, quella gente, la fuga e la speranza, eravamo noi».

Il cinema lo hanno scoperto insieme. Marinata la scuola, sono finiti a vedere Paisà, una folgorazione: «La didascalia finale, dopo la morte dei partigiani, “due mesi dopo la guerra era finita”, per me è come un quadro del Caravaggio». Anni dopo ricevere la Palma d’oro a Cannes da Rossellini fu la chiusura di un cerchio luminoso, «in quel grande caos della vita ci sono fili che congiungono presente e passato. Siamo attenti al fatto che c‘è qualcosa che si contrappone al caso, una scheggia di senso. Questo è il nostro vivere». Il primo documentario girato a San Miniato, «il suono della macchina da presa fu come la sinfonia di Beethoven». I fratelli tornano ad esplorare l’era partigiana con Una questione privata di Beppe Fenoglio, alla Festa del Cinema di Roma e in sala il primo novembre. «Un film dei fratelli Taviani a tutti gli effetti, della ditta per sceneggiatura, montaggio, anche se le riprese nelle Langhe le ha fisicamente fatte Paolo, io patisco ancora i postumi di un incidente», dice Vittorio. Spiega che «50 anni di creatività in comune ci hanno reso capaci di lavorare anche a distanza». «Sul set alla fine di ogni ripresa mi giravo a cercare il suo sguardo, come fosse con me». «Un’alchimia anche inspiegabile, che poi avrebbero avuto i Coen, i Dardenne, i Manetti». Perfino questo nuovo film è frutto di una decisione quasi telepatica: «Con Calvino, Fenoglio è l’autore più importante del dopoguerra. Negli anni abbiamo cercato di adattarlo, ma i diritti erano impegnati». Di recente un fratello a Salina, la casa dell’anima in cui i due s’alternano d’estate, e uno a Trastevere, si ritrovano ad ascoltare alla radio Omero Antonutti che legge Una questione privata. Paolo lo chiama. «Mi hai emozionato», gli dice. «Mi fa piacere, risponde quello, anche perché 3 minuti fa mi ha chiamato tuo fratello».

Tengono a chiarire che Una questione privata non è un film di guerra. «La grandezza di Fenoglio è l’aver scritto un libro sull’anomalia, la tragedia di un partigiano in preda a un sentimento intimo – il dubbio su un tradimento amoroso – che non riesce a dominare e vince su tutto, l’irrazionale che vince sul personale». Idealismo e follia sono affidati nel film a Luca Marinelli, un Orlando Furioso (il paragone lo fece Calvino), in questo viaggio senza fiato tra le Langhe, nebbia e Resistenza. I fratelli indicano la locandina che troneggia nel salotto di Un uomo da bruciare, film che segnò il loro debutto e quello di un giovane attore teatrale, Volontè: «Marinelli ti regala dolcezza e senso di inquietudine. La sua complessità ci ricorda quella di Gian Maria, attore-autore meraviglioso ma anche persona di cui aver paura». Una pausa per il caffè, servito in tazzine di porcellana. Poi si affronta il capitolo del finale, che i Taviani hanno riscritto in linea con il loro temperamento e la loro ironia, «i finali di Fenoglio sono a disposizione della fantasia del lettore, e quindi anche della nostra». I fratelli non hanno mai immaginato un finale per il loro sodalizio «ma nel rapporto più angelico c’è sempre la coda del diavolo», dice uno. L’altro cita Zavattini: «In un cappuccino non distingui il latte dal caffè, se ti piace bevilo e non rompere le scatole».

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