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Giulia Ligresti chiede la messa in prova come “pr” con la sorella Jonella

La richiesta al tribunale di Torino dopo la condanna definitiva


Il 28 agosto 2013, grazie a una perizia medica che accertava il profondo disagio psicologico scatenato dalla detenzione in carcere, Giulia Ligresti, che, dicevano i suoi legali, aveva cominciato a rifiutare il cibo, ottenne di poter lasciare la cella di Vercelli e attendere ai domiciliari che iniziasse il processo. Ora, a cinque anni di distanza, dopo che l’inchiesta della procura di Torino si è distribuita lungo mille rivoli diversi, Giulia Ligresti, rischia di ritrovarsi faccia a faccia con l’incubo del carcere, dove dovrebbe scontare quel che resta della pena patteggiata allora: 2 anni e 8 mesi.

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Era rimasta detenuta quaranta giorni, dopo l’arresto del 17 luglio insieme alla sorella Jonella e al padre Salvatore con l’accusa di aggiotaggio e falso in bilancio di Fonsai. E qualche mese dopo si scoprì che il caso della sua liberazione aveva coinvolto nientemeno che il Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, una vecchia amica di famiglia che gli inquirenti avevano intercettato casualmente mentre parlava con la moglie di Salvatore e si metteva a disposizione per sensibilizzare il dipartimento di amministrazione penitenziaria sul rischio che Giulia ricadesse nell’anoressia. La sua incolumità era in serio pericolo, disse il suo psicologo. Ma solo qualche settimana dopo i paparazzi la immortalarono mentre faceva shopping in via Montenapoleone.
Martedì mattina al tribunale di sorveglianza si è celebrata l’udienza decisiva davanti al giudice Elena Bonu, che si è presa qualche giorno di tempo per valutare se accettare la proposta del legale Gianluigi Tizzoni, su un percorso di messa alla prova alternativo al carcere. Solo che invece di candidarsi per lavori socialmente utili come normalmente accade, la figlia dell’immobiliarista milanese, morto a maggio di quest’anno, ha presentato una proposta quantomeno singolare: Giulia impiegherebbe il proprio tempo anziché in cella a lavorare come designer di arredamento o come “pr” per la società della sorella, Jonella. E c’è il rischio che il suo progetto non venga preso abbastanza sul serio nelle aule di giustizia torinesi, almeno non quanto è accaduto sulle riviste della finanza milanese che la primavera scorsa hanno dedicato qualche titolo alla seconda vita come designer della più piccola delle sorelle Ligresti. La pena che le resta da scontare non è poca. E la categorica indisponibilità di Giulia a qualunque ipotesi di risarcimento non aiuta i suoi legali nell’impresa di evitarle il carcere. Tantopiù che, a quanto pare, mentre era ai domiciliari in attesa che la sentenza diventasse definitiva avrebbe architettato qualche trucchetto contabile per sottrarre il patrimonio personale al sequestro dei beni disposto dal tribunale in vista dei risarcimenti degli azionisti che si sono costituiti parte civile nel processo.
La decisione del giudice sulla messa alla prova dovrebbe arrivare entro qualche giorno. E per ironia della sorte proprio quando il tempo ha già parecchio sbiadito i contorni di questa inchiesta coordinata dal pm Marco Gianoglio che nel 2013 aveva fatto tanto scalpore. Paolo Ligresti nel frattempo è stato assolto in appello a Milano. E il passare degli anni ha fatto cadere in prescrizione la sentenza per i sindaci Fonsai che furono giudicati e assolti con il rito abbreviato.

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