EXITO STYLE

Fiorenzo Fraioli

Dies IReS

« Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos. »
Mi telefona l’amica M.M.
– come la vedi la situazione politica?
– stiamo lavorando ad una lista sovranista per le politiche del 2018
– vi alleate con il m5s?
– non credo proprio, anche se ci rivolgeremo agli elettori del m5s che non dormono in piedi
– allora vi alleate con la Lega?
– ma scherzi? Sono liberisti, e noi socialisti. Vogliamo uscire dall’euro e dall’UE, per ripristinare la legalità costituzionale
– ah interessante; va bene ciao.
Oddio, mi sono un po’ sbilanciato perché non so se la si farà, questa benedetta lista sovranista costituzionale per le politiche del 2018, ma intanto all’amica M.M., sinistrata di razza, gliel’ho detto. Non me ne voglia per il “sinistrata di razza“, le voglio bene ma la politica è affare piuttosto rude.
Comunque penso che questa lista si farà. Forse si chiamerà “Italia Ribelle e Sovrana“, IReS come ha acrostizzato Barbaro D’Urso, egregio commentatore sul blog Sollevazione.
L’obiezione principale che viene fatta a questa (non ancora certa) scelta è: sarà un fiasco. L’egregio commentatore Barbaro D’Urso, ad esempio, argomenta su Sollevazione: “l’attuale legge elettorale italiana, cioè quel pasticciaccio brutto costituito dall’Italicum ‘consultellato’ alla camera e dal Porcellum parimenti ‘consultellato’ al senato, prevede la necessità di raggiungere il 3% su base nazionale alla camera e la stessa percentuale a livello di singole regioni al senato per accedere alla ripartizione dei seggi. Meno di così, magari ci si mette in vista durante la campagna elettorale, ma poi non si può incidere e non si può mantenere una pur minima visibilità a livello mainstream“.
Ho evidenziato il passaggio cruciale: “ma poi non si può incidere e non si può mantenere una pur minima visibilità a livello mainstream“. Barbaro D’Urso avrebbe perfettamente ragione se l’obiettivo di IReS fosse quello di “incidere” e/o mantenere una visibilità a livello mainstream. Ma, se fosse così, io non sarei della partita, preferendo continuare a zappare l’orto. Il quale, detto en passant, mi sta dando grandi soddisfazioni a dispetto della gran secca. Questo, semmai, è l’obiettivo della sinistra sinistrata, quella che cerca qualche poltroncina per poi condurre battaglie insignificanti, e di pura facciata, sempre rispettose delle compatibilità sistemiche perché, come ebbe a dire uno dei suoi illustri esponenti, il dentifricio è ormai uscito dal tubetto. Per me la battaglia politica, nelle condizioni storiche che stiamo vivendo, è ben altra cosa! Ecco, questo è il momento di invocare il benaltrismo. Per me, e credo non solo per me in questo periodo storico, l’impegno politico è ben altro, significa lotta per la (ri)conquista del potere da parte del mondo del lavoro.
Incidere cosa? Visibilità de che? Sono espressioni, queste, che rivelano, mi scusi Barbaro D’Urso, una subalternità che è, prima che politica, psicologica nei confronti delle classi dominanti capitaliste. Qui non è questione di incidere, o di conquistare “visibilità” nei media di proprietà del capitale, ma di dare inizio a una lunga marcia che abbia come obiettivo finale la conquista del potere in nome e per conto del mondo dei lavoratori. La vera e sola questione, dunque, è se sia più efficace la strategia adottata dal FSI di saltare questo appuntamento elettorale, oppure sfruttarlo per accelerare il processo di costruzione di un’opposizione di classe. Personalmente sostengo la seconda opzione.
A questo punto del discorso mi corre l’obbligo di chiarire un aspetto importante, anzi fondamentale. Non vorrei, infatti, che questa posizione radicale fosse intesa come una qualche inclinazione per la lotta armata, come fecero gli imbecilli delle brigate rosse prima maniera (dopo fu affare di servizi segreti) negli anni settanta. Il punto non è il rifiuto a priori e moralistico del ricorso alla violenza, bensì la banale considerazione che questa strada è intrinsecamente incompatibile con l’obiettivo della costruzione di una democrazia popolare fondata sul lavoro. Semmai, sono le classi dominanti che hanno bisogno di ricorrere alla violenza, e lo fanno ah se lo fanno! per sopperire allo svantaggio di essere numericamente inferiori, mentre per i lavoratori questa strada è sempre un’apparente scorciatoia, quando non la premessa per una sconfitta epocale. Occorre dunque partecipare alla vita democratica, sempre, approfittando di tutte le opportunità che si presentano.
Le elezioni politiche sono una di queste opportunità, sebbene non l’unica. Ci sono, è vero, coloro che ritengono che il punto essenziale sia riaccendere una conflittualità sociale diffusa, mentre partecipare al gioco elettorale sarebbe una forma di cedimento alle regole del gioco imposto dalla borghesia. Non sono d’accordo. Ma l’obiezione più importante viene oggi da quanti, ad esempio il succitato FSI, sostengono la necessità di continuare a rafforzare ancora per qualche anno il movimento sovranista, al più esercitando l’opzione elettorale in occasione di elezioni locali o al massimo regionali, per rimandare la sfida per le politiche a quando avremo raccolto intorno alle nostre idee un numero molto più significativo di militanti. Si tratta di una strategia opposta a quella di IReS, e saranno i fatti a stabilire chi ha ragione.
Le metriche da usare per misurare la validità della scelta di accettare il confronto alle elezioni politiche del 2018 sono due: da un lato, evidentemente, il mero risultato numerico, dall’altro la crescita del movimento sovranista come conseguenza della nostra discesa in campo. La seconda essendo, a mio avviso, ben più importante della prima. Quanto al mero risultato numerico, la soglia che discrimina il successo dal fallimento è, a mio avviso, intorno all’1%, ovviamente nei collegi dove riusciremo, con le nostre forze, a presentarci. Il che significa una proiezione a livello nazionale di alcune centinaia di migliaia di voti. Un obiettivo plausibile, e tale da spingere alla mobilitazione e all’impegno qualche migliaio di militanti.
Una mobilitazione e un impegno che sono indispensabili per la crescita politica e, mi sia consentito, psicologica, delle decine di migliaia di cittadini che, agendo ogni giorno sui social, riescono già ora a costituire un pericolo per la melassa informativa mainstream, così preoccupante da suscitare allarme; ma che devono affrontare un processo di maturazione personale che li trasformi dall’essere agenti atomizzati di controinformazione a cellule viventi di un processo di alternativa politica. Per dire una cosa figa, si tratta di rovesciare la teoria nella prassi, imparando anche ad accettare il fatto che, in questo passaggio, è necessario liberarsi dall’ossessione della purezza ideologica. Dunque l’operazione IReS dovrà essere sia inclusiva che radicale. Ove col termine “radicale” non si intende, ovviamente, la vera centrale ideologica dell’ordoliberismo italiano, quel partito radicale che, in combutta col fogliaccio di Scalfari, è riuscito nell’arco di quarant’anni a cambiare il cuore dei lavoratori italiani!
Il decalogo della CLN, che ha proposto l’operazione IReS (continuo a chiamarla così per il momento) è un ottima sintesi di quella che ho definito una proposta radicale:
«(1) Il potere appartiene al popolo, non all’élite finanziaria. (2) Lo Stato prevale sui “mercati” . (3) La comunità è la base per l’emancipazione della persona. (4) L’eguaglianza e la solidarietà sono i principi della convivenza civile. (5) La dignità e il diritto al lavoro vengono prima di tutto. (6) La politica dirige e programma l’economia nell’interesse della collettività. (7) L’immigrazione va regolata, contro ogni discriminazione etnica e religiosa, in base alle possibilità della comunità. (8) Per la sicurezza sociale, contro ogni forma di criminalità e di sopruso. (9) Per un patriottismo democratico, repubblicano e costituzionale. (10) Per la sovranità nazionale, contro la globalizzazione e l’Unione Europea».
Su questa base è possibile aprire un confronto ad ampio spettro sia con le numerose piccole organizzazioni sovraniste e/o critiche dei trattati europei, sia con il pulviscolo di sigle che operano sui social; nonché con le decine di migliaia di italiani che, sperimentando sulla propria pelle il progressivo degrado della vita economica e della nostra convivenza civile, potrebbero rispondere attivamente ad un appello alla mobilitazione politica, in vista del chiaro e puntuale obiettivo rappresentato dall’appuntamento elettorale del 2018. La discussione è aperta, e se ne parlerà in occasione dell’appuntamento dell’1-2-3 settembre organizzato dalla CLN, al quale parteciperò con la speranza nel cuore che questa sia, finalmente, la volta buona.
Se c’è una cosa che posso riferire ai pochi lettori di questo blog, questa è che sulla radicalità c’è già accordo unanime, e chi non l’accetta può risparmiarsi la fatica di venire. Resta da discutere sul versante dell’inclusività, e non sarà facile. Personalmente propendo per la massima apertura, a patto di non arretrare sulla radicalità. E, ovviamente, stando attentissimi alle manovre entriste alla rovescia…

fonte: http://egodellarete.blogspot.it/2017/08/dies-ires.html
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