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Festa di Roma, il giorno di Nanni Moretti. Passione cinema e una confessione: "Ho un altro tumore

È un incontro ravvicinato ad alta intensità, quello con Nanni Moretti. Il regista romano, 64 anni, porta sul palco della Festa di Roma i ricordi di quarant’anni di cinema e piccoli corti inediti. Un Caro diario onesto e commovente dedicato al pubblico dell’Auditorium. Si concede un sereno tappeto rosso, si ferma a parlare con i giornalisti “ma non chiedetemi di politica, non è questa l’occasione”. Piuttosto, dice, ha voglia di raccontarsi da “spettatore, regista, produttore, esercente”.

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E, a sorpresa, al momento del gran finale regala un corto, Autobiografia di un uomo mascherato: “Otto minuti ancora da montare, che vi voglio mostrare”. Ecco Moretti con una sorta di burqa bianco traforato che gli copre le spalle. Cammina sul lungotevere, la sua voce dice: “I romani sono abituati all’uomo mascherato e non si voltano più, non fa loro impressione”. Si affaccia dalla finestra di un appartamento, c’è un trasloco in corso e dalle scatole ammassate tira fuori scarpe, vecchie agende colme di scarabocchi, le mette l’una accanto all’altra: “Bisognerebbe metterle nelle mani di un pool internazionale di psichiatri”, commenta.
Stacco, ballo su un palco con coppie anziane. E poi il Nuovo Sacher, alla rassegna Bimbi Belli. “Proprio come me l’uomo mascherato ha un cinema e una sala arena”: sul palco c’è il famoso dibattito, stavolta con Moretti-mascherato. “Ero io non l’avevate capito? E siccome dopo vent’anni da un’altra parte ho avuto un altro tumore e penso che si possa filmare non tutto ma quasi tutto, ho filmato una delle tante sedute di radioterapia”. Prima di andarsene dal palco Nanni Moretti alza le braccia e mostra i muscoli, come a dire “sono qui e sono più forte di prima” accolto dall’applauso caldissimo del pubblico.
I ciak sbagliati di Mia madre. La serata si apre con alcuni ciak sbagliati di Mia madre, quelli con Margherita Buy sono i più divertenti, una decina di pose su lui che dice: “Ho preso poltrona reclinabile” e lei che risponde “quanto hai speso?”. E Turturro con il suo italiano improbabile: “Chi era quella rrrragazza del sindacato…”, e poi “come si dice blind? Cecato?”. I commenti di Moretti? Alla Buy: “Eroticissimo questo ciak”, alla papera successiva si sente un urlo disumano. Alla madre: “Questa è strappacore eccessiva”, indicazioni come “un pochino sorridendo triste”.
Moretti spettatore (ma anche attore). “Ho iniziato a quindici anni a essere uno spettatore forte al cinema. Al Nuovo Cinema Olimpia e al Mignon, e la sera in piscina a giocare a pallavolo. Ho visto i classici e il cinema d’autore polacco e francese, Polanski e Skolimowski, Non so come, da spettatore a vent’anni mettevo insieme i Taviani e Carmelo Bene, tipi di cinema distanti”. Ecco a semplificare le prime scene del suo mediometraggio Come parli frate dei Taviani in cui interpreta Don Rodrigo. Racconta poi: “Andando al cinema noi spettatori eravamo divisi in due partiti, Antonioni e Fellini, io ero per Fellini. Vedevo Bertolucci, Ferreri, Olmi. Quei registi rifiutavano il cinema ricevuto in eredità e la società ricevuta in eredità, cercavano con il loro cinema di prefigurarne uno nuovo, e una nuova società. E siamo arrivati a me attore per altri”.
“Quando ho deciso che avrei fatto il regista”. “Io mi ricordo nel settembre del settantadue un mio amico giornalista, avevo preso la maturità e finite le vacanze mi chiese ‘ora a che facoltà ti iscrivi?’. Io, arrossendo, dissi che non avrei fatto l’università. E arrossendo sempre di più, a lui che chiedeva dissi ‘vorrei fare del cinema’, e lui ‘ma da attore o regista?’, e io ‘tutte e due le cose’. In modo confuso questo speravo e la stessa sensazione la davo a i registi a cui chiedevo sia di fare l’assistente che di recitare. Ho lavorato con Peter Del Monte, i Taviani, Bellocchio, e mi rendevo conto che loro non capivano perché volessi fare entrambe le cose”. Racconta di Il portaborse: “Per interpretare quel ministro corrotto e corruttore ci sarebbero stati attori più giusti e bravi e anziani di me. Però a Luchetti venne in mente di spiazzare il pubblico e quindi mi propose di interpretare questo ruolo. Non mi preparo i personaggi tappezzando la camera di fotografie, immedesimandomi. Mi immedesimo nell’idea del regista e di quello che vuole raccontare. Non amo le performance di attori che si identificano tanto da scomparire come persone”. Avrebbe dovuto fare un film con Kieslowski, “a fine anni Novanta, mi chiese per un ruolo in La doppia vita di Veronica ma poi non stavo bene, pensavo a una depressione ma era un tumore: dissi che non potevo, mi è dispiaciuto molto, lo considero un grande”.
Moretti produttore. “Trent’anni fa il primo film che io e Angelo Barbagallo producemmo, Notte italiana di Mazzacurati e Domani accadrà di Luchetti. Spesso i registi che fanno i produttori lo fanno per sadismo nei confronti di registi meno potenti di loro. Il caso lampante è coppola produttore con Wenders regista. A volte i registi fanno produttori per sottogeneri della loro filmografia. Oppure per scegliere film mediocri e dire “io ci ho provato ma non c’è un ricambio”. Io ho iniziato per il piacere di lavorare con persone con cui stavo bene e restituire la fortuna che avevo avuto come regista. Non producevo film ‘alla Moretti’”. Ricorda l’amico Mazzacurati: “Lo costringevo a fare l’attore nei miei film, era straordinario: in Caro diario era il critico cui leggo le sue recensioni e piange”.
Moretti giurato. Quelle in giuria sono “esperienze sempre piacevoli”. Due volte a Venezia, la seconda come presidente, e due volte a Cannes, la seconda come presidente. “Come giurato non ho mai ricevuto nessuna pressione. E se non mi sbaglio mi sembra che noi giurati non eravamo influenzati da quel che leggevamo sui giornali né dall’accoglienza in sala con il pubblico. La giuria non devi mai cercare l’unanimità altrimenti si premia il film medio. Si discute tantissimo, a Cannes non ne potevano più Io insistevo con Kiarostami, siamo partiti uno contro nove siamo arrivati a cinque a cinque. Si discute e poi si vota”. Mostra i filmini girati ai Festival, Torino, Locarno, Venezia e Cannes. Il ricordo più divertente, dal punto di vista visivo, è quello dell’edizione di Cannes che lo ha visto scontrarsi con Mike Lee. Tim Burton, che si vede allegro mentre si mette a recitare in giardino 007. “Era simpatico, Tim, ma quel giorno non rise: aveva fatto incubi nella notte per via della votazione. Eravamo tutti tesi. Due ore di discussione sulla Palma, io mi battevo per Il sapore della ciliegia mentre Mike Leigh non lo amava, diceva ‘votiamo votiamo’ e io invece li ho sfiancati. Mira Sorvino, laureata in mandarino, era l’unica che parlava con Gong Li”.
Moretti premiato. “A me per Caro diario e la stanza del figlio mi è capitato i tornare a roma, la domenica mattina guardo il telefono, arriva la chiamata; “Lei deve tornare a Cannes” Ma non dicono nulla. La sera di La stanza del figlio mi sedetti in sala, si aspettava la Casta per il film di chiusura. Lei tardava e io sono stato preso dall’ansia e sono uscito in questo grande atrio, vuoto. Si apre una porticina esce un tizio con i capelli bianchi. Con gesto elegante tira fuori al sigaretta, era David Lynch. Non sapevo che mi conoscesse, quando gli passo accanto mi dice ‘Nanni un giorno o l’altro io ti ammazzerò’”.
Moretti esercente. Telefona dal palco al cinema per sapere quanti spettatori per Nico, 1988, terzo spettacolo: “Giulio, quanti? “24”. “l’altro lunedì?” “36”. “Che pubblico c’è?” “Non sono i nostri abituali, dall’abbigliamento penso sia gente musicisti o della radio, si salutano tra loro”. Ventisei anni fa con Barbagallo aprimmo il Nuovo Sacher, il 1 novembre con Riff Raff di Ken Loach, ora quando esce un suo film non in esclusiva ma in dodici sale. Il momento più bello quando nel novantatré facemmo Heimat 2, un film con tredici lungometraggi a Monaco anni Settanta. Il pubblico non è sempre innocente. “Ho ospitato Una vita di Brizet: tutte recensioni positive, non è un film italiano ma francese, non è doppiato ma in originale sottotitolato. Non c’erano scuse, ma non è venuto nessuno”.

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