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Da Bankitalia a Palazzo Chigi, una lunga tradizione di passaggi di potere

AGI – Quando lo Stato ha bisogno di un “tecnico” è alla Banca d’Italia che si volge immediatamente lo sguardo. Nei periodi di crisi della storia repubblicana è stata via Nazionale, a più riprese, a fornire competenze tecniche e umane per ridare stabilità al Paese.

Dalle sue fila sono usciti due presidenti della Repubblica, due capi del Governo, oltre a uno folto stuolo di ministri e sottosegretari. Insomma, quando le carte si incartano, è pescando negli uffici dell’istituto centrale che spesso giunge la soluzione per superare veti incrociati, antipatie parallele e blocchi ideologici. E se in queste ore torna a circolare il nome dell’ex governatore Mario Draghi per la successione a Giuseppe Conte non c’è da restare sorpresi.

Luigi Einaudi, il primo presidente eletto dal Parlamento 

L’abitudine nasce sin dagli albori della Repubblica, quando è Luigi Einaudi a traslocare da Palazzo Koch al Quirinale, come primo capo dello Stato eletto dal Parlamento italiano, secondo in ordine di tempo dopo il mandato provvisorio di Enrico De Nicola. E’ il 12 maggio 1948 e c’è una nazione da ricostruire e riconciliare. Liberale e federalista, al termine dei suoi 7 anni di mandato, lascia in eredità un Paese pronto per cominciare il suo balzo economico. 

Lamberto Dini, da ministro di Berlusconi a suo successore 

Ma alla Banca d’Italia guarda anche Silvio Berlusconi alla sua prima esperienza di governo. E’ il maggio 1994 quando nomina il direttore generale di via Nazionale, Lamberto Dini, ministro del Tesoro. Otto mesi dopo, però, l’uscita della lega di Umberto Bossi dalla maggioranza ribalta il tavolo. Berlusconi è costretto a dimettersi e proprio Dini, il 17 gennaio 1995, gli succede a Palazzo Chigi per portare a termine la riforma delle pensioni e rimettere ordine nei conti pubblici italiani, in perenne bilico sul filo del crack. Ci resta fino al 18 maggio 1996.

Guido Carli, la firma del Trattato di Maastricht



Se si parla di passaggi da Bankitalia al governo non può poi non tornare in mente il nome di Guido Carli, governatore dal 1960 al 1975. Il motivo delle sue dimissioni non è mai stato chiarito ma nel 1976 è di nuovo in pista come presidente di Confindustria. Il 26 giugno 1983 viene eletto senatore nelle file della Democrazia cristiana, ruolo in cui viene confermato il 14 giugno 1987. Dal 22 luglio 1989 al 24 aprile 1992 è ministro del Tesoro in due governi guidati da Giulio Andreotti ed è in questa veste che negozia e firma, il 7 febbraio 1992, il Trattato di Maastricht, costitutivo dell’Unione monetaria europea.



Saccomanni, Savona e Masera 



Ma la lista non finisce qui. Nell’elenco dei principali ‘civil servant’ con le stimmate di palazzo Koch, figura anche Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia tra il 2013 e il 2014 e direttore generale della Banca d’Italia dal 2 ottobre 2006 al 28 aprile 2013. O un nome come quello di Paolo Savona, attuale presidente della Consob, ma anche ministro dell’Industria dal 29 aprile 1993 al 19 aprile 1994 e a capo del dicastero per gli Affari europei dal giugno 2018 al marzo 2019. Senza dimenticare Rainer Masera, ministro del Bilancio nel governo Dini, dopo essere stato capo del Servizio studi e direttore centrale della Ricerca economica di via Nazionale dal 1975 al 1988. 



Carlo Azeglio Ciampi, da Palazzo Chigi al Colle 



Il secondo governatore a salire sul Colle più alto è Carlo Azeglio Ciampi nel 1999. In politica, a Palazzo Chigi, era stato chiamato a forza 6 anni prima, in uno dei momenti più drammatici della storia recente, tra inchieste giudiziarie, delegittimazione del Parlamento e dei partiti, attentati di mafia e rischi di destabilizzazione della lira. Sostenuto da una maggioranza trasversale composta da Dc, Pds, Psi, Pri, Pli, Psdi, Alleanza democratica e Verdi, il governo Ciampi, nei suoi 377 giorni di vita, riesce a salvare il Paese dalla bancarotta, anche attraverso un accordo con le parti sociali, e a far approvare una nuova legge elettorale. 

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