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Cesare Battisti scarcerato. Ma c'è un piano del governo brasiliano per rimandarlo in Italia

Cesare Battisti scarcerato. Ma c'è un piano del governo brasiliano per rimandarlo in Italia
Cesare Battisti scortato dalla polizia a Corumbà, al confine con la Bolivia (afp)
Giudice federale accoglie richiesta della difesa. La stampa riferisce però di un accordo tra le diplomazie di Roma e Brasilia: l’ex terrorista estradato con la garanzia di scontare il massimo della pena prevista dalla legislazione locale (30 anni) invece dei due ergastoli ai quali è stato condannato in Italia
RIO DE JANEIRO – Cesare Battisti è stato scarcerato: il giudice José Marcos Lunardelli, del Tribunale regionale federale della terza Regione, ha accolto la richiesta di habeas corpus avanzata dagli avvocati dell’ex terrorista, che era stato arrestato due giorni fa a Corumbà, nel Mato Grosso do Sul. Ha disposto però per lui l’obbligo della firma in commissariato e il divieto di lasciare il distretto di San Paolo nel quale risiede. E il governo Temer comunque ha già deciso: Battisti, latitante da 36 anni, sarà estradato in Italia. Mancano ancora alcuni dettagli importanti ma il piano per trasferire l’ex militante dei Proletari armati per il comunismo (Pac) nel nostro paese sarebbe già stato messo a punto. Verrebbe imbarcato su un aereo della polizia federale direttamente a Corumbà, la cittadina al confine con la Bolivia dove è stato fermato e poi arrestato, e da qui raggiungerebbe l’Italia.
Sul fascicolo di estradizione manca ancora, concretamente, la firma del presidente. Una firma importante: quella che revocherebbe la decisione di Lula nel 2010 che aveva invece deciso, a differenza del massimo tribunale brasiliano, di dare asilo all’ex militante dei Pac.
In queste ore si sta tessendo un fitto lavoro diplomatico-politico. L’ambasciata italiana avrebbe già consegnato tutti i documenti richiesti a sostegno della nuova domanda di estradizione e sarebbe in attesa solo della firma di Temer. Si vogliono evitare pressioni che finirebbero per irrigidire le autorità brasiliane. Così, tra una telefonata e un contatto su whatsApp, si sondano gli umori, si cercano conferme. Contemporaneamente si procede alla parte burocratica. Si fissano le modalità di consegna, i nomi delle persone che prenderanno in carico il detenuto, il tipo di arma e numero di matricola che avrà chi lo accompagna. “Stanno cucendo la pratica”, spiega un’alta fonte vicina al dossier. “Battisti potrebbe rientrare nelle prossime ore, nei prossimi giorni. Era già previsto per ieri. Adesso attendiamo solo il via libera del capo dello Stato”.
Secondo quanto scrive il quotidiano O Globo, che per primo svelò la presenza di una nuova richiesta di estradizione da parte dell’Italia, il piano sarebbe stato concordato con la nostra ambasciata di Brasilia. A sostegno della nuova richiesta di estradizione mancano però alcuni documenti importanti. Il Brasile vuole avere la garanzia che Battisti sconti la pena massima prevista dalla sua legislazione: 30 anni e non i due eragstoli. L’Italia dovrà quindi allegare alla domanda un impegno in questo senso. Il requisito è contemplato nel trattato di estradizione tra i due Paesi.
Prima che Lunardelli si pronunicasse sul ricorso presentato dalla difesa di Battisti, un altro magistrato aveva confermato l’arresto dell’ex terrorista nell’udienza di convalida. E aveva usato parole molto dure con l’ex militante dei Pac. “Ci sono forti indizi”, aveva motivato nel suo provvedimento il giudice Odilon de Oliveira, “sul fatto che l’imputato volesse espatriare in Bolivia. Era in possesso di una somma elevata di contanti in valuta estera, maggiore di quella consentita dalla legge brasiliana, ed aveva molte valigie al suo seguito. Tutti elementi che confermano la sua chiara intenzione di lasciare il territorio brasiliano”. Battisti aveva dichiarato alla polizia stradale che lo aveva fermato a bordo di un taxi con due amici di voler andare a pesca e di voler fare degli acquisti. Una volta arrivato alla frontiera era stato però fermato e perquisito e gli erano stati trovati i contanti. Avrebbe dovuto dichiararli. Ma sebbene si tratti di un reato minore, il giudice ha ritenuto che il suo “background, molto grave, impone la dichiarazione di libertà vigilata, in primo luogo per comodità di effettiva applicazione del diritto penale”. Per de Olieira la posizione giudiziaria di Battisti imponeva il suo arresto perché sul suo capo non solo pende una condanna a due ergastoli passati in giudicato ma anche una richiesta di estradizione su cui il TSF si deve pronunciare. “L’imputato”, aveva argomentato il giudice, “è stato ammesso allo status di rifugiato con tutti i diritti ma anche gli obblighi previsti. Con il suo atteggiamento ha trasgredito, almeno in teoria, a tutti i regolamenti pervisti dal rifugiato, offendendo in questo modo l’ordine pubblico”.
Ora, invece, Battisti è stato rimesso in libertà. Che non potesse restare a lungo in carcere era facile da immaginare. La difesa aveva presentato il suo ricorso presso la Corte Suprema. “La polizia federale”, si legge nel documento, “ha riportato elementi esagerati e palesamente falsi”. Tra questi viene segnalato il sequestro di “un perno di plastica con dei residui di polvere biancastra” che Battisti nega di aver avuto con sé. Il perno è un tubicino, tipo provetta, che gli spacciatori usano per riempirlo di coca e consegnarlo agli acquirenti.
“L’episodio”, rileva la difesa, “dimostra il trattamento differenziato usato nei confronti del nostro cliente. Esiste il chiaro

sospetto che l’inserimento di questo oggetto tra quelli rinvenuti addosso a Battisti sia esagerato e falso, con il solo scopo di mantenere l’imputato in custodia generando enorme attenzione nazionale e internazionale e creare le condizioni per la sua espulsione verso l’Italia”.

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