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Catania, la Dda sequestra 150 milioni a Mario Ciancio: sigilli al quotidiano “La Sicilia”

Tegola giudiziaria per l’editore: i carabinieri del Ros, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia, bloccano 31 società e i conti correnti. In serata le dimissioni dalla direzione de “La Sicilia”


“Fondi non giustificati nelle società”. E ancora: “Sproporzioni fra entrate e uscite”. Il Tribunale di Catania ha emesso un decreto di sequestro e confisca di beni, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti dell’editore e direttore del quotidiano La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo, attualmente sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Ammontano a 150 milioni di euro i beni bloccati dalla sezione Misure di prevenzione, i giudici sono andati anche oltre le richieste dei pubblici ministeri, che non avevano chiesto il sequestro del giornale catanese, pur ravvisando delle irregolarità nei bilanci.

Ora, il provvedimento riguarda non solo il quotidiano “La Sicilia”, ma anche la maggioranza delle quote della “Gazzetta del Mezzogiorno” di Bari e due emittenti televisive regionali, “Antenna Sicilia” e “Telecolor”. Il Tribunale ha nominato degli amministratori giudiziari per garantire la continuazione dell’attività del gruppo. In serata Mario Ciancio si è dimesso da direttore del quotidiano, e con lui ha lasciato l’incarico anche il figlio Domenico, fino a oggi condirettore. Da domani il quotidiano sarà firmato da Antonello Piraneo.

L’indagine, condotta dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Catania, ha fatto scattare i sigilli pure per conti correnti, polizze assicurative, 31 società, beni immobili e quote partecipative di altre sette aziende.E’ un’inchiesta che corre in parallelo con il processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la ricostruzione della procura diretta da Carmelo Zuccaro, non ci sono soltanto relazioni pericolose da approfondire, ma anche rapporti poco chiari con la pubblica amministrazione e soprattutto canali finanziari per niente trasparenti.

I magistrati hanno iniziato a verificare i fondi che Ciancio deteneva in Svizzera, intestati ad alcune fiduciarie del Liectenstein. Ma una prima richiesta di sequestro viene respinta. Così la procura affida alla società “Pwc”, una società internazionale che si occupa di revisione di bilanci e consulenza legale, di esaminare tutte le evoluzioni del patrimonio dell’imprenditore catanese dal 1979 al 2014. Il 10 luglio dell’anno scorso, i pm Antonino Fanara e Agata Santonocito formulano le loro conclusioni. E arriva la richiesta di sequestro e confisca. Fondata sull’analisi di 1.500 bilanci. E alla fine sono emerse delle “sproporzioni” nelle casse delle società, per l’ingresso di capitali non ben identificati.

Ciancio replica: “Nell’ambito del procedimento di prevenzione a mio carico ritenevo di avere dimostrato, attraverso i miei tecnici e i miei avvocati, che non ho mai avuto alcun tipo di rapporto con ambienti mafiosi e che il mio patrimonio è frutto soltanto del lavoro di chi mi ha preceduto e di chi ha collaborato con me. Ritengo che le motivazioni addotte dal Tribunale siano facilmente superabili da argomenti importanti di segno diametralmente opposto, di cui il collegio non ha tenuto conto. Faremo appello”. Ma il sequestro per l’editore è già un caso. Il presidente della commissione regionale antimafia, Claudio Fava, lancia una proposta: “Il sequestro del quotidiano La Sicilia nei confronti di Mario Ciancio diventi l’occasione per ribaltare la storia opaca di quel giornale e della sua direzione. Se vi sarà confisca, si affidi la testata ai giornalisti siciliani che in questi anni hanno cercato e raccontato le verità sulle collusioni e le protezioni del potere mafioso al prezzo della propria emarginazione professionale, del rischio, della solitudine”. Per il presidente dell’Antimafia, “togliere non basta: occorre restituire ai siciliani il diritto a un’informazione libera, autonoma, coraggiosa. Lo pretende anche il rispetto dovuto agli otto colleghi uccisi dalla mafia e dai suoi innominabili protettori per aver difeso quel diritto contro ogni conformismo”.

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