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Benasso (Accenture): ‘Siamo entrati nell’era post-digitale, vi spiego come la tecnologia cambierà il mondo nei prossimi 5 anni’

Fabio Benasso, presidente e amministratore delegato di Accenture Italia

Dottor Benasso, nel presentare l’Accenture Technology Vision 2019 lei ha affermato che ormai si sta entrando nell’era post-digitale nella quale le aziende avranno nuove opportunità di sviluppo. Può spiegare meglio questo concetto?

“Accenture ha un osservatorio privilegiato perché lavora da molti anni a fianco dei più grandi player nazionali e mondiali per portare sul mercato innovazione in grado di creare valore. Su queste basi la Tech Vision guarda a quello che accadrà nei prossimi 3-5 anni. L’edizione 2019 evidenzia l’avvicinarsi di un’era “post-digitale” in cui il “digitale” in sé non è più un vantaggio competitivo, bensì il requisito minimo per rimanere sul mercato. Un’era in cui il successo si baserà sulla capacità delle imprese di padroneggiare una serie di tecnologie in grado di offrire esperienze sempre più personalizzate.

In questo contesto, valori umani come fiducia, responsabilità, privacy e sicurezza diventano veri e propri fattori critici di successo: le aziende devono sì concentrarsi sull’adozione di nuove tecnologie, ma devono farlo in modo etico e responsabile, con la consapevolezza che questi elementi sono veri e propri fattori critici di competitività e di creazione di valore per l’impresa e per l’intera società. E’ uno scenario che riguarda anche il nostro paese dove i processi di innovazione possono e devono accelerare attraverso la guida dei grandi player, che hanno capacità di scala e finanziaria. Le PMI invece devono essere in grado di mettere a sistema alcune capabilities facendo leva su piattaforme comuni (digital hub, competence center, etc), che permettano di innovare e, allo stesso tempo, liberare risorse da investire nello sviluppo della propria eccellenza”.

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Quali sono i trend tecnologici che Accenture ha individuato come trainanti per i prossimi tre anni?

 “La Tech Vision 2019 si articola in cinque trend: il primo raggruppa le 4 tecnologie all’avanguardia che guideranno l’innovazione del prossimo futuro, le cosiddette “DARQ”, acronimo che indica Distributed Ledger, Artificial Intelligence, Extended Reality e Quantum Computing. Quando tecnologie come queste si affermano, in breve tempo, possono innescare una grande trasformazione, consentendo alle società di reinventare interi settori, come è già accaduto con le tecnologie SMAC (social, mobile, analytics e cloud). Gli altri trend identificati dal nostro studio riguardano la capacità di cogliere le nuove opportunità di mercato offerte da un’identità digitale dei consumatori in continua espansione (“Get to know me”); le mutate modalità di lavoro e di interazione uomo-macchina nell’era post digitale (“Human+ Worker”); le nuove frontiere della sicurezza (“Secure us to secure me”) e infine la necessità di “incontrare” i propri consumatori in tempo reale, in un mondo dove la tecnologia sta creando esperienze fortemente personalizzate e on demand (“MyMarkets”)”.

“Voglio ritornare su un punto: questi trend tecnologici avranno alla loro base una forte componente umana, la fiducia ad esempio sarà strategica per abilitare la nascita di ecosistemi di business e per garantirne il successo per l’azienda e il sistema paese”.

Avete mostrato quali efficienze può portare l’applicazione della blockchain a un trasporto merce dalla Sicilia alla Lombardia. A che punto sono le aziende italiane nell’utilizzazione di queste tecnologie? E quali sono gli ostacoli?

La blockchain è una tecnologia estremamente disruptive, in rapida espansione, in grado di offrire opportunità molto interessanti. Potenzialmente qualsiasi settore, per garantire una tracciabilità totalmente trasparente del proprio prodotto o servizio potrebbe dotarsi di tecnologie blockchain. E’ una tecnologia che si presta ad una moltitudine di impieghi – nella logistica e nei trasporti ma anche nella pubblica amministrazione, nella finanza o nel commercio – e che trova la sua massima applicazione dove sono presenti le filiere, come quella del farmaco o quella alimentare. Questo rappresenta il primo degli ostacoli al suo impiego su larga scala perché ha come presupposto l’accordo di tutti gli attori della filiera. Ovviamente, però, più la catena è lunga maggiore è il valore che produce. Il secondo ostacolo è endogeno all’impresa stessa: in generale in Italia esistono delle differenze nell’impiego di nuove soluzioni tecnologiche sulla base delle dimensioni delle imprese, dove ad incidere sono le disponibilità di risorse talvolta non tanto economiche quanto in termini di risorse umane. Tuttavia ci sono grandi imprese italiane che hanno sviluppato soluzioni estremamente innovative nei loro settori e possono competere con i più importanti player di mercato mondiali”.

Le tecnologie usate per il riconoscimento facciale permettono di acquisire una serie di dati su un cliente volti a studiare i suoi gusti e le sue abitudini al fine di permettere alle imprese di offrirgli prodotti personalizzati. Nell’era post-digitale si andrà incontro a una sempre maggiore profilazione e personalizzazione dei prodotti da offrire al cliente?

 “Abbiamo identificato i sistemi di profilazione degli utenti come uno dei trend che caratterizzeranno lo sviluppo tecnologico dei prossimi anni. L’utilizzo di queste tecnologie permette di offrire prodotti declinati sulla base delle reali preferenze, fino addirittura ad anticipare i desideri dei clienti. Dal punto di vista del business questo rappresenta una grande opportunità per l’impresa che può offrire prodotti a target molto specifici e, a cascata, può incidere positivamente su altre divisioni aziendali, pensiamo alle ricadute sulla logistica o alla gestione del magazzino.  Con l’avvento dell’era digitale stiamo assistendo al superamento dei prodotti personalizzati a favore di un orientamento verso esperienze individualizzate, creando relazioni one to onecon il cliente.

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Le “impronte” date dall’identità tecnologica dei clienti stanno creando una base viva di conoscenza per le imprese: come consumatori lasceremo sempre più tracce della nostra identità, in cambio i brand dovranno offrire esperienze sempre più personalizzate. Ma le aziende devono tenere conto del fatto che ci sono momenti in cui i consumatori vogliono più tecnologia nella loro vita e altri in cui non ne vogliono affatto, e che c’è una linea che divide la tecnologia “utile” dalla tecnologia “invasiva”, un limite che varia da persona a persona. Devono quindi svolgere un ruolo di bilanciamento tra i bisogni del cliente e le proprie opportunità”.

E non sussiste un problema di privacy?

Il problema relativo alla privacy è reale ed è uno dei motivi per i quali al momento questo tipo di soluzioni non hanno trovato ancora impieghi su larga scala, complici anche alcune lacune normative sugli impieghi di videocamere in aree frequentate da utenti e consumatori. In realtà l’utilizzo dei dati incamerati dall’impresa viene clusterizzato e dunque reso completamente anonimo, ed è funzionale ad offrire prodotti sempre più mirati per i clienti. I sistemi di profilazione hanno l’obiettivo di semplificare alcuni processi e rendere sempre più fluide le esperienze d’acquisto dei consumatori. Ma il tema della privacy va a toccare un principio molto importante a cui accennavo precedentemente, la vera sfida dello sviluppo tecnologico dei prossimi anni, quello della fiducia. L’eccezionale sviluppo tecnologico ha infatti rapidamente mutato l’intero contesto portandoci in maniera accelerata in una nuova era in cui le modalità di fare business e di comunicare richiedono necessariamente maggiore collaborazione e di conseguenza maggiore scambio e uso di dati all’interno degli ecosistemi. La grande quantità di dati disponibili è quindi da una parte una ricchezza ma dall’altra una grandissima responsabilità: senza la costruzione di fiducia reciproca il danno nell’utilizzo di questo patrimonio di dati può essere molto superiore ai benefici e colpire l’intero ecosistema”.

Come cambierà il mondo del lavoro nell’era post-digitale? Non c’è il rischio che la continua ricerca di una maggiore efficienza porti a comportamenti sempre meno “umani” nei confronti dei lavoratori?

“Nell’era post-digitale la forza lavoro sta diventando “human+”, con una nuova serie di capacità costantemente in crescita rese possibili dall’innovazione tecnologica.  E’ probabile che alcune figure professionali diverranno desuete, ma contemporaneamente se ne creeranno di nuove, più evolute. Se da una parte, però, la forza lavoro si evolve rapidamente in questo senso, l’azienda spesso resta concepita per una forza lavoro del passato: le strategie per la ricerca di talenti sono obsolete rispetto alle competenze dello “human+ worker” e gli investimenti in formazione e reskilling sono molto al di sotto delle necessità, soprattutto quando i lavoratori cambiano ruolo o azienda.  Il futuro del business sarà delineato da una nuova forma di “intelligenza collaborativa” tra uomo e macchina con l’obiettivo di migliorare le performance aziendali, in quanto il vero punto di forza della tecnologia sta non tanto nel sostituirsi all’uomo quanto nel saper amplificare le capacità umane. Da questo punto di vista i percorsi formativi per i dipendenti all’interno delle aziende sono assolutamente centrali. Si consideri che, secondo un nostro recente studio, oltre i due terzi (71%) dei dirigenti ritengono che i propri dipendenti siano più maturi dal punto di vista digitale rispetto alla loro organizzazione e che gli stessi si trovino quindi costretti ad “aspettare” che quest’ultima si metta al passo.

Vista la facilità con cui un hacker può infilarsi nei sistemi informatici di un’azienda e da lì penetrare nei sistemi a monte e strategici per il Paese, che cosa si può fare per prevenire e affrontare problemi di questo tipo?

Oggi più che mai il tema della sicurezza informatica è diventato centrale: la dipendenza dagli ecosistemi del mondo attuale amplifica in modo esponenziale l’impatto degli attacchi informatici, col risultato che gli eventi che paralizzano un’impresa possono crescere rapidamente minacciando non solo la società stessa, ma l’intero ecosistema.  Le aziende non devono quindi abbassare la guardia, devono orientare i propri investimenti verso tecnologie innovative in grado di migliorare l’efficacia delle azioni di protezione e implementare un percorso che consenta loro di evolvere dalla cyber security a quella che viene definita “cyber resilience”, cioè la capacità di prevenire e rispondere alle minacce informatiche, riducendo al minimo il danno e garantendo la continuità del business anche sotto attacco. Nel contempo è necessario promuovere una nuova cultura della security che coinvolga l’intera azienda, dato che spesso l’anello debole della catena è rappresentato dal fattore umano, oltre che da tutte le vulnerabilità che si riscontrano nelle aree di interazione dell’azienda con partner e fornitori. La sicurezza informatica non deve essere più vista come uno sforzo strettamente individuale, incentrato sulla propria operatività interna, ma come un’azione a tutela di tutto l’ecosistema”.

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