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Alla scoperta dei prodotti tipici dell’Alta Tuscia

La destinazione del viaggio che intraprenderemo oggi è l’Alta Tuscia. Si tratta dell’area che comprende la provincia nord di Viterbo e lambisce la vicina Umbria, con particolare riferimento alla zona di Orvieto. La cultura della buona tavola è di casa qui, e trova espressione sia nelle specialità della cucina locale, sia nei suoi prodotti tipici. Ortaggi, cereali, legumi, formaggi e persino il pesce di lago, senza dimenticare due grandi protagonisti di questa terra: il vino e soprattutto l’olio, ottenuti dalle secolari coltivazioni che caratterizzano gran parte del paesaggio. Insomma, sono tanti i buoni motivi per seguirci in questo percorso tra i sapori dell’Alta Tuscia.

I prodotti tipici dell’Alta Tuscia, terra di pescatori e contadini

Il nome “Tuscia” fa riferimento al territorio abitato dagli Etruschi, antica civiltà preromana che ha lasciato molte tracce in Italia, sia a livello di testimonianze storiche, sia di eredità culturali. Tracce che si ritrovano nei borghi arroccati su colli impervi, come la splendida Orvieto, e nelle dolci vallate in cui s’aprono schiere di ulivi e filari di viti, fino alla piana in cui domina il Lago di Bolsena. L’Alta Tuscia è popolata soprattutto da contadini e pescatori, gente che ha cuore la propria terra e la tratta con la secolare sapienza di chi sa rispettarne i tempi e trarne il meglio. Proprio questo forse è il motivo per cui è tanto ricca di tesori enogastronomici, che si ritrovano nei sapori di una cucina dalla forte impronta casalinga. Vogliamo portarvi a saperne di più, passando in rassegna alcuni dei prodotti tipici dell’Alta Tuscia.

Lucky Team Studio/shutterstock.com

I tesori della Comunità Montana Alta Tuscia Laziale 

Nella parte nord del Lazio, al confine con la Toscana, c’è un’area collinare costellata di paesi che costituiscono la Comunità Montana Alta Tuscia Laziale. Una zona che si estende da Valentano, Latera, Onano e Gradoli, a est del Lago di Bolsena, a Grotte di Castro e San Lorenzo Nuovo, più a nord, per salire infine verso Acquapendente e Proceno. 

Tanti i prodotti caratteristici di questo territorio, tutti inclusi nel registro PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) del MIPAAF. A partire dalla patata dell’Alto Viterbese, diffusa pressoché in tutti i comuni della zona e tutelata da un consorzio al quale aderisce la maggior parte dei coltivatori locali. Ricca di elementi nutritivi, grazie all’abbondanza di minerali che caratterizza la terra di origine vulcanica, è protagonista di tante preparazioni, come gli gnocchi, di cui si tiene ogni anno una sagra organizzata dal comune e dalla pro loco di San Lorenzo Nuovo. Altro ortaggio di grande valore è l’aglio rosso di Proceno: molto apprezzato anche all’estero, si caratterizza, oltre al colore, per l’intensità aromatica e per la sua digeribilità. Prodotto di punta della vicina Acquapendente è invece il farro del Pungolo, antica varietà di questo cereale, celebrato la terza settimana di agosto dalla sagra “Viaggio nella civiltà contadina e artigiana”, occasione nella quale diventa protagonista di zuppe e altre ricette della tradizione. Allo stesso modo, a metà agosto di ogni anno, si tiene la sagra della lenticchia di Onano. Piccola, tonda, ricca di sapore e di facile cottura, ha origini antiche, come comprovato da un documento storico del 1561, ed è candidata a entrare tra le nuove denominazioni d’origine italiane.

Sempre restando nella famiglia dei legumi, troviamo il fagiolo del Purgatorio di Gradoli. Si caratterizza per le ridotte dimensioni e per il colore bianco, similmente al fagiolo cannellino. La buccia è sottile lo rende adatto alla cottura senza ammollo preventivo. Il gusto è delicato e nella cucina locale si usa lessarlo in acqua aromatizzata con aglio, salvia e alloro, per poi condirlo con un giro di olio Evo autoctono, sale e pepe. Tradizionalmente preparato in occasione del “mercoledì delle ceneri”, il fagiolo del Purgatorio di Gradoli è ancora coltivato e colto a mano da pochi agricoltori e per questo incluso da Slow Food nel progetto “Arca del Gusto”, per la tutela dei prodotti a rischio estinzione.

facebook.com/Ccorav – Consorzio Cooperativo Ortofrutticolo Alto Viterbese

Il fagiolo secondo o “della stoppia” è, invece, tipico dell’area a nord del Lago di Bolsena e, in particolare, di San Lorenzo Nuovo. Piccolo, dal colore giallo-marroncino e dalla polpa tenera, ha un gusto delicato, che si apprezza soprattutto lessato e condito con olio ed erbe aromatiche, in zuppe di cereali e legumi o, ancora, in umido insieme a secondi piatti di selvaggina. Si chiama “secondo” perché il suo raccolto segue quello del grano e “della stoppia” per l’abitudine di piantarlo sulle stoppie del frumento mietuto.

Altro presidio Arca di Slow Food è il cece del solco dritto di Valentano. Al pari degli altri legumi dell’Alta Tuscia, trova nel microclima collinare, mitigato dalla vicinanza del lago e dal suolo argilloso e ricco di minerali, elementi favorevoli alla sua coltura. Si presenta come una minuscola sfera giallo-beige dalla superficie liscia; in antichità se ne ricavava una farina per la preparazione di prodotti da forno. Questa varietà di cece deve il suo nome a un’usanza locale legata al culto mariano. Alla vigilia di Ferragosto, infatti, quando si rende omaggio alla Madonna per la stagione del raccolto appena conclusa, si procede alla tiratura di un lungo solco nei campi dov’è stato mietuto il grano: se dritto, viene considerato un buon auspicio per l’annata agraria a venire. 

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I boschi collinari del territorio di Latera, a ovest del Lago di Bolsena, sono terreno ideale per la coltura delle castagne. È il regno del marrone di Latera: forma sferico-ellittica, colore marrone chiaro con riflessi rossicci, superficie omogenea ed episperma (la pellicola di rivestimento interna) sottile e facilmente asportabile, si caratterizza per il gusto tendente al dolce, con intensità che varia da frutto a frutto. Colti a mano durante il mese di ottobre, i marroni si prestano ad essere consumati soprattutto bolliti o arrosto oppure per preparazioni dolci, come i tipici marrons glacés.

Si chiude in dolcezza, col miele di Monte Rufeno: un millefiori che racchiude in sé tutta la ricchezza di boschi e pascoli in cui abbondano soprattutto graminacee spontanee e trifogli.  Il contesto è quello della Riserva Naturale del Monte Rufeno, un’area di 2893 ettari, che ricade nel comune di Acquapendente, a ridosso del confine con Toscana e Umbria. 

Facebook.com/Tuscia Welcome

Il lago di Bolsena e la cultura del pesce

Tra i colli punteggiati da filari di viti e ulivi e le ampie praterie, si apre uno specchio azzurro: è il Lago di Bolsena, di formazione vulcanica e quinto per dimensioni in Italia. Nelle sue acque profonde e pulite vivono diverse specie ittiche, che sono protagoniste della cucina locale. A cominciare dal coregone, che rappresenta circa il 50% del pescato. Importato dalle acque delle regioni settentrionali a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, ha trovato qui un habitat ideale, che ne ha favorito la diffusione. Monitorare la sua presenza costituisce anche un importante parametro per valutare la qualità dell’ambiente, dal momento che vive e si riproduce solo in acque altamente ossigenate e quindi incompatibili con elevati tassi d’inquinamento. Le sue carni pregiate si prestano a svariate preparazioni: alla griglia, con un battuto di aglio ed erbe aromatiche, ricoperto da una leggera panatura e fritto, spadellato in salsa di pomodoro o agli agrumi oppure semplicemente marinato e accompagnato a pinoli tostati e una misticanza di verdure. Come abbiamo già visto, inoltre, il coregone è anche utilizzato come base per la realizzazione di conserve

Altro protagonista della cucina di lago è il persico, la cui polpa soda è esaltata soprattutto da preparazioni in umido, tagliato in pezzi grossolani, cucinato a fuoco lento con un sugo denso e presentato in un tegame a mo’ di spezzatino oppure utilizzato per condire un primo piatto, come ad esempio gli umbricelli (tipica pasta lunga locale, nota anche con altri nomi simili) al ragù di lago.

Tra i pesci di lago più utilizzati nella tradizione gastronomica locale vale la pena di citare anche l’anguilla, per la quale è nota la passione di Papa Martino IV, motivo per cui Dante nella sua Divina Commedia lo colloca nel girone dei golosi del Purgatorio, e il latterino. Quest’ultimo è un pesce di piccola taglia, preparato prevalentemente in frittura e protagonista di una sagra dedicata a Marta, comune a sud del lago in cui c’è una viva comunità legata alla pesca.

Non solo pesce: il lago di Bolsena e la sua tradizione casearia

Se è vero che in tutta la zona del lago di Bolsena la cucina è molto improntata sul pesce, non va trascurata la proposta casearia. Gli spazi verdi che si aprono tra i colli sono terreno ideale per gli allevamenti ovini, da cui la tradizione di produrre ottimi pecorini. Tra questi citiamo il Lago di Bolsena e il Martano Nero. Entrambi semi-stagionati a pasta dura, si differenziano nell’aspetto e nel gusto. Il primo presenta una crosta giallo paglierino, ha una pasta compatta ed elastica, con una leggera occhiatura e un gusto intenso, caratterizzato da una nota piccante che si accentua col procedere della maturazione. Il Martano Nero, come il nome stesso lascia intendere, ha invece una crosta color testa di moro e pasta avorio. La consistenza è compatta e leggermente granulosa, che al palato rivela una sapidità la cui persistenza aumenta con l’avanzare della stagionatura.  

Alta Tuscia: una terra di buoni vini

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Una terra fertile e dal clima mite e collinare come l’Alta Tuscia non manca di regalare buoni vini. Primo fra tutti, l’Est!Est!!Est!!! di Montefiascone DOC. Si tratta di un bianco frizzante, fresco ed equilibrato, che si produce sia nella versione classica, sia in veste di spumante. Pare che il suo curioso nome sia legato al viaggio di Re Enrico V di Germania alla volta di Roma, per essere incoronato da Papa Pasquale II come imperatore del Sacro Romano Impero. Un vescovo al suo seguito aveva incaricato il suo coppiere di andare in avanscoperta lungo il percorso col compito di trovare posti dove valesse la pena fermarsi per concedersi ai piaceri della buona tavola e soprattutto del buon vino. Era stato stabilito che il coppiere avrebbe lasciato scritto col gesso ést là dove avesse trovato una cantina di qualità. Qualora ne fosse rimasto particolarmente colpito lo avrebbe dovuto scrivere due volte. Leggenda vuole che, una volta assaggiato il vino di Montefalcone, ne sia rimasto talmente entusiasta da scrivere per ben tre volte “ést” aggiungendovi anche i punti esclamativi, che da allora sono parte integrante del nome con cui è noto.

Altro bianco tipico del territorio di confine tra Lazio e Umbria è l’Orvieto DOC. Il nome stesso suggerisce il legame con la cittadina umbra, che per tradizione e cultura può essere considerata parte integrante dell’Alta Tuscia. È un vino armonioso, dal profumo fruttato, con base amabile da cui spicca una discreta acidità.

A tenere alta la bandiera dei rossi è invece l’Aleatico di Gradoli DOC, prodotto in quattro versioni: base, liquoroso, liquoroso riserva e passito. Il “base” è un classico vino da tavola, dal colore rosso granato pieno, con riflessi violacei, corposo e vellutato in bocca, dove si rivela tendenzialmente dolce e aromatico. Il liquoroso mantiene l’impronta amabile, accentuata dal maggiore volume alcolico, a cui nella versione riserva si aggiungono la caratteristica nota resinosa e un accenno tannico dovuti all’invecchiamento in botti di rovere. Nel passito, infine, si accentuano i sentori di frutta matura, che lo rendono ideale a fine pasto, in abbinamento a un’altra tipicità della zona: i tozzetti, biscotti secchi simili ai cantucci toscani, qui tipicamente impreziositi con le nocciole dei Monti Cimini.

Olio EVO: l’oro verde dell’Alta Tuscia

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Basta percorrere le strade che l’attraversano per rendersi conto di quanto l’Alta Tuscia sia dedita alla coltura dell’olivo. Una tradizione millenaria che trova espressione in un’eccellenza come l’olio extravergine di oliva Tuscia DOP. Il disciplinare ne individua l’area di produzione, che coinvolge 52 comuni laziali, e specifica anche le tempistiche relative sia alla raccolta delle olive, sia alle successive fasi di lavorazione. Se ne ottiene un olio tipicamente verde smeraldo con riflessi dorati e un sentore fruttato, che emerge tanto nel profumo quanto nel gusto e che si arricchisce di sfumature amare e piccanti. 

Altra eccellenza locale in fatto di olio è l’Umbria DOP Colli Orvietani. Quest’ultima indicazione individua una delle cinque sottozone che costituiscono la denominazione Umbria DOP e fa riferimento all’area collinare intorno a Orvieto. La tecnica di raccolta è quasi esclusivamente manuale e condotta con metodi attenti a non danneggiare le olive, che vengono lavorate poche ore dopo essere state colte. L’olio così ottenuto è in perfetto equilibrio tra fruttato ed erbaceo, e diventa prezioso ingrediente da aggiungere a crudo su insalate e zuppe della tradizione o da degustare semplicemente su fette bruschettate del classico pane casereccio sciapo tipico di queste parti.

Con piacere vi abbiamo guidato attraverso i sapori dell’Alta Tuscia. Quali tra i numerosi tesori enogastronomici di questa terra avreste desiderio di assaporare? 

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